Quando nei giorni scorsi il presidente Conte fece la sua apparizione in maglione blu super-operativo stile Bertolaso pensai, alla Costanzo, “eccallà”. È proseguita con decreti-legge che hanno rimesso la gestione dell’emergenza ad infimi atti normativi quali i decreti del presidente del Consiglio dei ministri (gli ormai famigerati d.p.c.m.), giusto un’anticchia, direbbero i siciliani, superiori ai decreti ministeriali (quelli ad esempio che fissano i tassi alcolemici).

Atti sconosciuti alla Costituzione e misconosciuti ai testi di diritto costituzionale, forse buoni come mezzuccio per bocciare uno studente che resiste all’idea di non sapere neanche cose veramente importanti: “Mi parli dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri” e giù tutto un vocio in aula di “cos’ha detto?” e “mamma mia quant’è cattivo”. Si fatica pure a ritrovarli nella legge che disciplina la potestà normativa del governo, la famosa legge 400 del 1988.

Per la verità utilizzati negli anni scorsi anche per fissare i “livelli essenziali di assistenza”, prestazioni a cui corrispondono certamente diritti fondamentali. Ma in questi giorni evidentemente buoni per limitare di tutto di più – circolazione, riunioni, iniziative economiche private e quant’altro – in forme senza precedenti. Restano giuridicamente fragilissimi, impugnabili davanti ad un Tar qualunque. Intanto sono la nostra regola di vita in questi strani giorni. Una palese conferma della torsione della nostra forma di governo verso il regime del primo ministro.
Il presidente non più “primus inter pares”, ma garante del patto coi cittadini. Ha vinto Berlusconi e prima ancora quelli del “Sindaco d’Italia”. Del resto in queste ore è gara tra sindaci, presidenti di Regione e presidente del Consiglio a chi vieta di più. Una confusione grottesca che meriterà di ripensare completamente un sistema potenzialmente così caotico.

Nel discorso dell’altro giorno Conte giustamente parlava in prima persona “ho ritenuto di”, “vi chiedo di”. Il buon padre di famiglia, da non confondere ovviamente con il “piccolo padre” di staliniana memoria. Inevitabile, se è il solo Conte che firma un provvedimento che reca giusto per un avallo la controfirma del Ministro della Salute. Ora, è vero che la democrazia non è certo l’investitura popolare e che non è un problema che Conte non l’abbiamo votato ma la Costituzione afferma che il presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo (articolo 95 della Costituzione) non che la impersonifica. Valga il vero. Il capo dello Stato, che tra l’altro è un professore di Diritto costituzionale, è sicuramente consultato a ogni passo.

Formalmente tuttavia resta fuori dal circuito decisionale e anche solo della verifica della validità, cosa che avverrebbe con l’adozione di decreti-legge o di regolamenti del governo. Quest’ultimi non sarebbero compatibili con l’urgenza? Andrebbe acquisito il parere del Consiglio di Stato, dice la legge, entro “novanta giorni” dalla richiesta, un termine più che rilassato che siamo sicuri che potrebbe scendere a poche ore, se lo chiede la patria. Ma la verità forse un’altra. Il d.p.c.m. è un epifenomeno. Conte sa che non può fare affidamento su un bel pezzo del suo governo e preferisce trattare i contenuti degli atti direttamente con i leader partitici di maggioranza e opposizione, tenendosi in stretto raccordo con Capo dello Stato e alte cariche europee.

Di Maio, Azzolina, Spadafora, per non parlare di Bonafede, più noto come D.j. che come avvocato. Poco meno di una corte dei miracoli. Non mancano i ministri capaci di reggere questa situazione per percorsi e struttura. Ma complessivamente non è un governo che ha il profilo per un’emergenza di questo tipo. Risente ancora della sbornia per cui la cuoca di Lenin è capace di occuparsi degli affari di Stato, quando la sua competenza non è comprovata neanche nella preparazione del pelmeni, il piatto nazionale russo.

La personalizzazione della politica è un aspetto ineludibile e inevitabile della politica moderna. Il modo in cui si fa avanti in Italia è un problema da affrontare, perchè indica una “costituzione materiale” in contrasto con quella formale. Detto questo, Conte è un democristianone doroteo, direbbe Pansa. Rassicurante quanto basta. La sua estrazione ne fa comunque classe dirigente, per quanto emerga la sua inesperienza di cose politiche. In termini di personalizzazione poteva andare meglio ma anche molto peggio. Intanto attrezziamoci per il ritorno alla serietà della politica