Io ho sempre detto, scritto e sostenuto che secondo me Fabio Fazio è un professionista di grandissimo valore della tv, e che i suoi risultati dopo l’addio che lui ha dato a Rai (non il contrario, come qualcuno pensa e dice) per traslocare a Discovery lo testimoniavano per l’ennesima volta. Non sempre ho condiviso il suo tentativo di far entrare dalla finestra della simpatia bonaria quanto sbattuto fuori dalla porta della cronaca politica (come quando tentò di indurre Tony Blair a una critica a Silvio Berlusconi, chiedendogli se il vulcano di Villa Certosa e le barzellette che raccontava non lo avessero messo a disagio, lui così british, e venne respinto dall’ex premier inglese che gli rispose secco: “Veramente con me si è sempre rivelato simpatico e molto molto serio”), però ribadisco il mio oggettivo apprezzamento per lui e la sua capacità di intrattenere.

Quello che però mi delude davvero di lui e di alcuni personaggi che hanno costruito una propria fama grazie alla Rai che gli ha dato l’opportunità di farlo, è osservarne una lieve forma di egocentrismo, che al bar con amici definiremmo mitomania, che li spinge a pensare che tutto quanto accada dopo il divorzio da Rai sia in funzione di se stessi, o peggio, contro di essi e di quel che autonomamente hanno decretato di essere diventati e rappresentare. E l’intervista di Fabio Fazio al Corriere della Sera in cui adombra una conventio ad escludendum contra personam per aver la Rai precisato che il vincitore di Sanremo sarà ‘embargato’ entro i confini Rai nei tre giorni (anche pochi) successivi al suo successo sul palco dell’Ariston, non è di buon gusto: perché giunge nei giorni del 70esimo compleanno di un’azienda che forse oggi ha smarrito, ma sicuramente esercitato in passato una funzione pedagogica e culturale, se non di pura alfabetizzazione, in Italia (a proposito, colgo l’occasione anche io, da figlio della Rai quale sono almeno per quanto riguarda la mia formazione televisiva, di fare gli auguri a Mamma Rai) e sfiora la mania di persecuzione. Non è un comportamento inedito, per carità. Ha riguardato diversi uomini e donne di successo della tv pubblica italiana. Che a un certo punto smettono di avere i piedi per terra, di pensarsi artigiani della divulgazione quali sono o dovrebbero essere, e si iniziano a pensare guru, tribuni della plebe, padroni delle coscienze del loro pubblico che devono educare secondo valori e punti di vista conformi alla propria auto-decretata percezione di sé.

“Ma è sempre venuto da me, il vincitore”, dice Fazio. E certo, Fabio. Veniva da te perché conducevi una vetrina importante in Rai. Ora che ne sei fuori, obiettivamente le cose sono diverse, direi quasi opposte. La Rai con Sanremo fabbrica un grandissimo evento e dei personaggi. Ed è sacrosanto che pretenda almeno di tentare a beneficiarne facendoli girare nelle proprie trasmissioni, e non in quelle di una emittente concorrente, che alla Rai ha il legittimo obiettivo di togliere ascolti e conseguente raccolta pubblicitaria. Ovvio che Rai invece voglia sfruttare la scia della novità e del successo del vincitore per capitalizzare una scia di ascolti favorevole a se stessa, che su Sanremo punta moltissimo, da mesi. Sarebbe criticabile il contrario: cioè la Rai che spende una montagna di soldi per consumare un evento di cui poi facesse beneficiare un concorrente.

Per favore poi -vale per Fabio Fazio e per chiunque si avvalga della sacrosanta regola del mercato libero che consente di cambiare azienda-, smettetela col tentativo di dipingervi come dei martiri, delle Giovanna D’Arco bruciate sul rogo dell’oscurantismo. Avete il diritto, da professionisti, di scegliere il luogo di lavoro più conforme alle vostre esigenze, quali che siano: qualità dell’ambiente professionale, stipendio percepito, libertà editoriale. Siete voi che avviate e concludete trattative con vostra soddisfazione economica. Cosi è andata per il trasloco, legittimo e di successo, di Fabio Fazio, dalla Rai (che aveva già lasciato una volta in passato, peraltro) a Discovery, in cambio di un oggettivo, sensibilissimo aumento di compenso. Evitiamo per favore di volervi aggiungere un cahier de doleances per cui da lì in poi, la Rai macchina contro di voi. Sembrate quelli che si lasciano con la fidanzata e da lì in avanti pensano che qualunque cosa lei posti sui social sia diretta a voi che l’avete lasciata. Non è cosi.

Invece, se la Rai accetta un consiglio, provi a riportare in onda Michele Santoro. Sarebbe un’operazione di grande pluralismo che restituirebbe ricchezza a un panorama finora non di grandissimo successo, e romperebbe un po’ il conformismo imperante. In fondo, lottare contro il conformismo, è uno degli oggetti sociali del giornalismo e della televisione. Che Michele Santoro sa fare come pochissimi altri in Italia. Anche se in passato anche lui è caduto nella sindrome Fazio.