La gravità della situazione
Il fallimento del vertice di Parigi: la Difesa europea in mano a pochi Paesi. E l’Unione resta a guardare

Difficile stabilire il grado di fallimento del vertice di Parigi. Da un punto di vista politico è stata l’occasione per ribadire che la Difesa europea, se sarà gestita comunitariamente, sarà appannaggio di pochi paesi: quelli invitati all’Eliseo con l’aggiunta del Regno Unito, che non fa più parte della Ue ma è pur sempre (con la Francia) l’unica potenza nucleare del continente. Elemento che rafforza sul piano militare l’Europa ma che ridimensiona il ruolo dell’Unione, che anche a Parigi è stata mera spettatrice. Il risultato a cui miravano gli Stati europei, Italia in primis, era il via libera allo scorporo delle spese militari dal Patto di stabilità e dalle rigide regole di Bilancio dell’Europa. L’azione e il posizionamento rimangono saldamente in mano ai singoli paesi, che sono tutti concordi sulla difesa dell’Ucraina ma non sul come. E soprattutto non sul “fino a che punto”, che passa dalla proposta anglo-francese di inviare truppe, non come “forza di pace” ma come presenza militare ostile a Mosca, e in difesa di Kiev, e dunque con il rischio che ciò comporterebbe sul piano militare.
Italia e Germania si sono opposte, e la posizione del governo Meloni resta ancorata all’asse con gli Stati Uniti e alle trattative di pace di Riad. Il nostro paese si è presentato in linea con la posizione americana, ma allo stesso tempo convinto che l’invio di truppe (in questo momento e senza l’assenso americano) rischierebbe di far saltare il banco delle trattative e di favorire una certa escalation.
La gravità della situazione
La presidente del Consiglio e Guido Crosetto – d’accordo con Antonio Tajani, secondo cui “bisognerà discutere con gli Usa ma l’Italia sarà protagonista in Europa” – sembrano gli unici attori della politica italiana ad aver compreso la gravità della situazione e il ritmo con il quale si procede spediti verso l’inevitabile, in un paese che sembra vivere ancora sulle onde del Carosello dei tempi che furono e che finge di non accorgersi di ciò che accade. Se ha ragione il segretario generale della Nato Mark Rutte e il primo passo da compiere è quello di trasformare le nostre economie in economie di guerra come fatto dalla Russia, allora è arrivato il momento che anche l’Italia si svegli dal “sonno dogmatico” di kantiana memoria e inizi a connettere le antenne sul concetto di guerra. Non missioni di pace, ma guerra. Un concetto che persino la stampa maneggia con difficoltà. Del resto, al di là delle ambigue posizioni pacifistizzanti dei grillini, è il silenzio della sinistra che sorprende. Soprattutto per una forza come il Pd, e la sua segretaria Elly Schlein che ribadisce di rappresentare un’alternativa a Meloni e all’attuale esecutivo. Ma tutti si domandano: quale alternativa? Soprattutto in politica estera, sulla Russia, sulla guerra, sull’aumento delle spese militari: su tutto ciò che conta oggi agli occhi della storia, come la pensa il Partito democratico? “Quién sabe?”, risponderebbero i messicani.
Il silenzio è un lusso delle opposizioni
Il silenzio è un lusso delle opposizioni, destinate a restare tali perché prive di quel coraggio che serve nei momenti decisivi in cui la politica perde ogni orpello e ogni alibi. Questo è uno di quei momenti complessi, difficili, in cui il mondo, il nostro, è appeso a un filo sensibilissimo, e dove un gesto impulsivo e affrettato può dar fuoco alle polveri. Non è tempo per gli indecisi e per le bandiere arcobaleno (quelle della presunta pace). Ma è il tempo del realismo e del coraggio, un binomio fatale ma che separa la politica di chi può governare da chi – al di là delle frasi di circostanza – non è pronto per guidare il paese quando la campana della storia suona i suoi rintocchi.
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