Sei Punte
Pretendere che l'Italia si esibisca nel girotondo all'Aia
Il governo non riconosce lo Stato di Palestina, per Provenzano (Pd) è un “affronto” mentre Hamas nel futuro di Gaza non lo è…
È giusto che il governo italiano sia chiamato a rendere conto del proprio atteggiamento rispetto alla guerra di Gaza, vale a dire la guerra scatenata delle migliaia di miliziani e civili palestinesi che, il 7 ottobre dell’anno scorso, hanno sterminato 1200 israeliani e ne hanno rapiti altri duecentocinquanta, parte dei quali giustiziati un po’ alla volta e gli altri – non si sa quanti ancora in vita – tenuti per quattordici mesi nei tunnel costruiti con i soldi della cooperazione internazionale. Dunque anche i soldi dei cittadini italiani.
Ma in politica internazionale la “faccia” dell’Italia non coincide esclusivamente con quella del governo: giusto come il profilo statunitense nel mondo non è solo quello di Joe Biden, secondo cui i responsabili di Hamas pagheranno per i loro crimini, ma anche quello del senatore Bernie Sanders che fa propria la propaganda palestinese sull’uso della fame come strumento di guerra; giusto come il Regno Unito non si mostra all’opinione pubblica internazionale solo con gli esercizi equilibristici del primo ministro Keir Starmer, ma anche con la retorica antisemita di Jeremy Corbyn che chiama “amici” i macellai di Hezbollah; giusto come la Francia non è solo i tira e molla dell’abile presidente Macron, ma anche la postura indecente di Jean-Luc Mélenchon, orgoglioso di condividere il palco dei comizi con la filo-terrorista Rima Hassan, quella degli israeliani che addestrano i cani allo stupro dei palestinesi. Insomma – e potremmo continuare con gli esempi – nelle questioni di politica estera è il Paese tutto, non il governo soltanto, a dover rendere conto di sé stesso in faccia al mondo.
Provenzano e “l’affronto”
Ora, l’opposizione del nostro Paese fa benissimo a incalzare il governo sui punti critici per cui si segnalerebbe l’azione esecutiva italiana, ma non si sa quanto essa sia consapevole di dover a propria volta rendere conto del proprio operato: che non è necessariamente buono solo perché opposto a un andazzo di maggioranza in ipotesi cattivo. L’altro giorno, alla Camera, in occasione delle comunicazioni della presidente del Consiglio in vista del prossimo Consiglio europeo, l’Onorevole Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Partito Democratico, ha addebitato alla maggioranza di governo di essersi resa responsabile di un “affronto” nei confronti dell’Autorità Palestinese per non aver riconosciuto il cosiddetto Stato di Palestina. Ancora, Provenzano ha rinfacciato al governo non si sa bene quale irriguardoso atteggiamento nei confronti della Corte Penale Internazionale, sollecitata da un discusso prosecutor a emettere i noti ordini di arresto nei confronti di Bibi Netanyahu e dell’ex ministro della difesa israeliano Yoav Gallant.
Nei pressi di Montecitorio e nelle trattorie della stupenda campagna romana la cosa non risuona in nessun modo, ma altrove – cioè appunto dove queste faccende hanno un peso – una mozione come quella del Partito Democratico, che chiedeva il riconoscimento dello Stato di Palestina senza neppure un accenno all’esigenza prioritaria, e cioè al fatto che i macellai di Hamas non potessero neppure pensare di poter far parte di un qualsiasi futuro di Gaza, ecco, diciamo che presso alcuni una mozione come quella suonava assai male. Suonava anche peggio quando – assicurando “pieno sostegno al segretario generale dell’Onu a fronte di pericolosi tentativi di delegittimazione” – si lasciava andare al vellicamento delle trippe del signore, Antonio Guterres, capace di spiegare che il 7 ottobre non viene dal nulla e dotato del coraggio di chiamare “colleghi” gli assassini dell’Unrwa embedded in Hamas.
Queste cose contano – these things matter – oltre i confini del Grande Raccordo Anulare. Così come conta porsi quale soggetto politico che in relazione neppure a una sentenza, ma a un ordine di arresto, pretende che l’Italia si esibisca nel girotondo all’Aia agitando le manette da applicare al duo genocida. Fa fatica di suo a essere una cosa seria, quel presunto processo: se diventa la Mani Pulite dal fiume al mare, coi parlamenti che chiedono ai giudici di farli sognare, non onoriamo il diritto ma ciò che ne è cupo e plebeo simulacro.
Dio solo sa quanto l’Italia potrebbe fare meglio, sulla guerra di Gaza. C’è caso che sia istigata a fare peggio.
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