Il 10 gennaio si svolgeranno in Kazakistan le elezioni parlamentari. Già da qualche settimana, la presidenza di Tokayev si è impegnata a promuovere un’immagine del Kazakistan come un Paese progressista nel campo dei diritti umani, investendo ingenti risorse. La stretta sulla società civile, però, contrariamente a quanto racconti la propaganda di governo, è aumentata, e a soffrirne di più sono soprattutto gli attivisti che chiedono elezioni libere.  Da sempre le elezioni in Kazakistan sono contrassegnate dalla mancanza di autentici partiti d’opposizione e le elezioni parlamentari del 10 gennaio non fanno alcuna eccezione. Sono 6 i partiti ufficialmente registrati: Nur Otan, il Partito Comunista del Kazakistan (KNPK), Adal, il Partito Democratico Ak Zhol, il Partito Popolare Democratico Auyl e il Partito Socialdemocratico Nazionale (OSDP). NurOtan è il partito di Nursultan Nazarbayev, il più grande del Paese; generalmente riceve l’80% dei voti sia a livello regionale che nazionale. I rimanenti 5 partiti politici costituiscono la cosiddetta “finta opposizione”, creati per dare un’apparenza di competizione elettorale. In questo scenario si aggiunge la recente esperienza delle presidenziali di giugno 2019, caratterizzate da gravi brogli, arresti di massa e violenze contro i manifestanti. Quella che voleva passare come un’autentica transizione di potere democratica agli occhi della comunità internazionale, è stata in realtà di un passaggio di testimone sapientemente orchestrato da Nursultan Nazarbayev, l’ex Presidente. Nazarbayev rimane infatti una figura chiave, se non la più influente, all’interno della struttura di potere del Kazakistan. Insieme alla sua famiglia, l’ex dittatore è il principale architetto e beneficiario degli schemi corruttivi nel Paese.

Lo stato disastroso in cui versano i diritti umani e le libertà fondamentali in Kazakistan è di fatto rimasto lo stesso, nonostante il cambio di presidente. Anzi, le politiche repressive nei confronti della società civile nel corso degli anni, sono ancora più efficaci, grazie alle influenze dei vicini leader autoritari. Da giugno 2020, abbiamo osservato un significativo deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese: gli ultimi dati mostrano almeno 28 prigionieri politici e 95 casi di persecuzioni politiche in corso. Approfittando della pandemia e del fatto che l’attenzione della comunità internazionale sia rivolta principalmente ai tragici eventi che hanno investito la Bielorussia, il governo del Kazakistan non si è fatto troppi problemi ad adottare misure repressive simili a quelle del dittatore Lukashenko, il quale, di recente, ha persino consigliato al presidente Tokayev, di perseguire la strada dell’autoritarismo in un momento in cui la comunità internazionale è impegnata su altri fronti. A preoccupare gli attivisti è soprattutto l’abuso della legislazione anti-estremismo, un escamotage del governo che oltre ad aver portato all’aumento degli arresti degli attivisti e a all’inasprimento della pena detentiva, ha permesso di mettere al bando i movimenti di opposizione pacifica come ad esempio il “Partito della Strada” i cui iscritti al canale Telegram del movimento sono tutti a rischio incarcerazione. Inoltre, riemerge l’uso della psichiatria punitiva, crudele retaggio dell’Unione Sovietica.

La censura sistematica è un altro strumento repressivo fondamentale per il governo, soprattutto in clima di elezioni. Il regime sta utilizzando la tecnologia cinese per tentare di tagliare fuori i cittadini da Internet e dai social network, unica fonte alternativa di informazioni affidabili e unico canale attraverso il quale i cittadini possono segnalare frodi elettorali. Il 6 dicembre scorso, le autorità del Kazakistan, per la terza volta, hanno condotto un esperimento di blocco totale di Internet e dei social network. Inoltre, il tentativo del 2019 di introdurre il cosiddetto “certificato di sicurezza del governo del Kazakistan” che era stato criticato da Google, Apple e Mozilla, questa volta, grazie ad un’innovazione tecnica, potrebbe consentire al governo non solo di monitorare la comunicazione Internet dei propri cittadini, ma anche di modificarne il contenuto. Mozilla ha già annunciato che continuerà a proteggere i propri utenti in Kazakistan, incoraggiando i cittadini del Kazakistan a rimuovere il certificato di sicurezza del governo dai loro dispositivi e ad aggiornare immediatamente tutte le password.

Allo stesso tempo, sempre in preparazione delle elezioni, la Commissione Elettorale Centrale ha appena imposto ulteriori restrizioni draconiane ai diritti degli osservatori elettorali che equivalgono a un divieto de facto della loro partecipazione.

In questo contesto di agitazione pre-elettorale che ha generato un deterioramento dei diritti umani, gli appelli e le critiche provenienti dai Paesi democratici occidentali rimangono la preoccupazione principale del governo del Kazakistan. Per questo, con la FIDU – Federazione Italiana Diritti Umani, abbiamo lanciato, proprio in queste settimane, un progetto di monitoraggio delle prossime elezioni in Kazakistan, con l’obiettivo di far accrescere l’attenzione della comunità internazionale su una pericolosa repressione, che potrebbe somigliare troppo a quella in corso in Bielorussia e con la speranza che il governo del Kazakistan, temendo un indebolimento della sua credibilità internazionale, sia indotto ad un maggior rispetto dei diritti civili e politici.