Gli italiani in estate leggono di più, anche se soprattutto gialli. Li vedo intorno a me, tra gli ombrelloni o sotto una tettoia, davanti a un paesaggio alpino, concentrati e chini su un libro aperto. È un gran bel vedere, non vi è dubbio. Ma proprio per questo ho cominciato a chiedermi se la lettura sia in sé un valore, se leggere un libro sia sempre meglio che non leggerlo. Ora, dialogando a distanza con un bel libro di Piero Dorfles – Il lavoro del lettore. Perché leggere ti cambia la vita (Bompiani), un atto di amore per la lettura – provo a elencare alcune ragioni pro e alcune ragioni contro la lettura. Del saggio di Dorfles condivido ogni singola parola. Eppure ogni frase scatena in me anche una obiezione. Dunque raccomando il saggio per la qualità del pensiero e dello stile – tra l’altro ripassa alcuni classici della letteratura, illustri e minori, Dostoevskij e D’Arzo, Balzac e Flaiano, Cervantes e Greene – e ne condivido l’ispirazione generale, ma vorrei fare un po’ l’avvocato del diavolo. Aggiungo che vi troverete anche un capitolo fortemente idiosincratico – vivaddio! – sui “Mielestrazio” opere melense e retoriche, prive di qualsiasi ironia (dove fa a pezzi la Storia della Morante e Il piccolo principe).

Ragioni contro la lettura

1. Zeta, protagonista di un libretto di Hans Magnus Enzensberger, esclama: “Se invece di prendere in mano dei libri mi fossi messo a riflettere per conto mio, sarei stato più intelligente”. E sembra riecheggiare un aforisma del suo connazionale Lichtenberg, fine ‘700: “Quel tale sarebbe più intelligente se non avesse letto tutti quei libri”. È chiaro che si tratta di un paradosso, anche se, confesso, mi ha fatto pensare a persone concrete, da me frequentate: conoscono tutte le opinioni, e non sanno più quali sono le proprie. Nel primo durissimo lockdown si diceva che finalmente la gente disponeva di una immensa quantità di tempo libero, che avrebbe potuto usare per leggere. Bene, io obiettavo invece che avrebbero dovuto usare tutto quel tempo libero per pensare di più a se stessi. Per la Arendt il male nasce tecnicamente dal non pensare: il “mostro” Eichmann, amministratore dello sterminio degli ebrei, era uno zelante funzionario che aveva rinunciato a pensare, cioè a dialogare con se stesso.

2. Hitler, oltre ad essere un incendiario di libri, ne leggeva uno al giorno, e la sua biblioteca nel 1940 ne contava oltre 16.000! Onestamente era superato da Stalin, che aveva una biblioteca con 25.000 libri, che scriveva poesie e che pubblicò perfino un saggio di linguistica! Né è rilevante che Hitler leggesse quasi solo feuilleton, romanzi pulp e robaccia esoterica. Vorrei invece insistere sul metodo di lettura di Hitler, focalizzato nel Mein Kampf: prima decidi ciò che vuoi sapere, poi cerchi tutti quei libri che confermano le tue credenze. Perfino dentro il bunker la Storia di Federico il Grande serviva a dimostrargli che in qualche modo la Germania avrebbe vinto! Un lettore sì “ossessivo”, ma non selettivo e soprattutto non riflessivo. E’ legittimo acquistare un libro solo per informarsi su qualcosa o per intrattenimento. Ma la cultura non coincide tout court con l’informazione, né va usata solo come autoconferma. E’ capacità di scegliere e di valutare. Altrimenti la lettura non arriva neanche a essere, propriamente, un’esperienza. Va bene, Hitler è un caso-limite, però forse un “lettore riflessivo” o analitico (da noi minoritario), che legge anche solo pochi libri all’anno, sarebbe l’esempio più contagioso per la massa stessa dei non lettori.

3. Il saggio di Dorfles si apre così: “leggere, decifrare quegli astrusi segni neri sulla carta, è un lavoro, un mestiere, una competenza che si acquista solo con l’esercizio, e che si rischia di perdere se non la si coltiva. È un’abitudine, una sorta di muscolo intellettuale che, se esercitato, funziona con più vigore, e dà più forza nel confrontarsi con la pagina scritta”. Aggiungo che imparare tale mestiere è un momento abbastanza duro della nostra socializzazione. Dorfles scrive che è la cosa più astratta che l’uomo può fare… certo, per me rappresenta uno dei maggiori piaceri dell’esistenza però non è un piacere naturale, come mangiare una pietanza squisita o far l’amore. A scuola quando abbiamo dovuto apprendere quella competenza abbiamo tutti sgobbato e sofferto. Quando inizio la lettura di un nuovo libro debbo un poco farmi violenza. Perciò ce l’ho con i libri gialli che invece Dorfles difende a spada tratta: spesso di lettura macchinosa (devo tenermi specchietti alla fine con tutti i personaggi), con intrecci complicatissimi il cui scioglimento finale è banale. Tanta fatica per nulla!

4. Dorfles dice: “Poiché nella vita quotidiana chi non legge libri se la cava benissimo, verrebbe fatto di pensare che l’incapacità di leggere abbia poco a che fare con la capacità di essere bravi cittadini, competenti lavoratori e buoni padri e madri di famiglia….” Direi: Non solo bravi cittadini ma persone evolute, sagge, piene di spiritualità. Certo, nei libri c’è la storia dell’uomo, delle sue idee e dei suoi miti. Però questa storia possiamo oggi apprenderla anche solo sfogliandoli, ascoltando gli altri e usando giudiziosamente la Rete… Un mio caro amico ha letto per intero 5 o 6 libri in tutta la sua vita (Dottor Jekyll e mister Hyde, qualcosa di fantascienza). Credo che non abbia bisogno di leggere! È infatti una persona assai meditativa, con una ricca vita interiore, come si dice, sempre alla ricerca di una spiritualità (non religiosa) oltre la mera contingenza del quotidiano e aperta al mistero del cosmo.

5. Dorfles protesta contro l’enciclopedismo. “Flaubert se la prende con chi cerca facili scorciatoie al sapere; con chi pretende di dominare la complessità della vita moderna con una sola spolverata di informazioni tecniche; con chi pensa che avere competenze, lentamente e faticosamente acquisite con lo studio, sia superfluo…” Giusto. Però a volte si può anche essere abili orecchianti. Dante, grande erudito, ignorava il greco, aveva letto l’Etica nicomachea, del suo filosofo di riferimento (Aristotele), solo in un compendio…probo studioso e (un po’ cialtronesco) orecchiante?

6. Mentre recita i versi di Dante ad Auschwitz improvvisamente Primo Levi ha un’illuminazione: “Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.” Qualcosa gli permette di recuperare, di fronte alla spersonalizzazione del Lager, l’essenza dell’uomo. Ma una copia della Commedia fu donata da Mussolini a Hitler, appena sceso dal treno a Ostiense. La Commedia appartiene a Primo Levi o a Mussolini? Questione indecidibile. La partita è aperta. Ogni generazione dovrà giocarla – il “lavoro del lettore” è inesauribile e implica una scelta di campo, una presa di posizione, un impegno di tutta l’esistenza – senza avere mai la certezza dell’esito.

Ragioni a favore della lettura

Una sola, anche se potente. Se c’è un lettore riflessivo, consapevole, esigente, disposto a farsi modificare perfino turbare dalla lettura, onnivoro ma capace di discernere il grano dal loglio, curioso verso tutto ma senza smarrire il senso delle proporzioni, allora la lettura è probabilmente lo strumento più efficace di conoscenza, di sé e del mondo.