Chi ha detto che le corporazioni sono un retaggio del Medioevo o di epoca fascista? Quelle associazioni, nate nel XII secolo per tutelare gli interessi degli appartenenti ai diversi gruppi di lavoratori, “sono ancora vive e combattono in mezzo a noi”. La scelta del verbo “combattere” non è casuale, visto che tra le varie categorie professionali è in atto una vera e propria guerra per accaparrarsi il vaccino anti-Covid. Pensate alla Campania: dopo aver immunizzato il personale sanitario e quello scolastico, la Regione è pronta a utilizzare le fiale disponibili per proteggere magistrati, cancellieri e persino giornalisti. Quanto basta per provocare la reazione degli avvocati che, attraverso i presidenti degli Ordini di Napoli e di Salerno, ribadiscono la volontà di essere inseriti tra i cittadini da vaccinare con priorità in questa seconda fase del piano. E che dire dei commercialisti? Anche questi ultimi chiedono di essere immunizzati al più presto rivendicando il fatto di essere stati «sin dai primissimi giorni della pandemia al costante servizio di tutti i contribuenti».

La corsa al vaccino, però, non è un caso solo ed esclusivamente campano. Anzi, accomuna un po’ tutte le regioni ed è la conseguenza delle strategie autonomamente definite da ciascun governatore. A differenza di quanto stabilito da Vincenzo De Luca in Campania, per esempio, solo nei giorni scorsi il presidente lombardo Attilio Fontana ha deciso di avviare la campagna di immunizzazione del personale scolastico. Discorso simile nel Lazio, dove la seconda fase del piano varato da Nicola Zingaretti & co. prevede la vaccinazione di forze dell’ordine, personale scolastico, trapiantati, dializzati e pazienti oncologici. In Toscana, infine, le polemiche per l’immunizzazione di alcuni politici locali, che hanno sfruttato un canale preferenziale perché iscritti a vari Ordini degli avvocati, ha spinto il presidente Eugenio Giani a proseguire la campagna non in base alle categorie, ma all’età e alle eventuali patologie dei pazienti.

Tutto ciò dimostra come la gestione del Covid abbia evidenziato e continui a evidenziare l’impazzimento dei vari sistemi sanitari regionali che, in mancanza di una forte azione di coordinamento da parte del Governo nazionale, procedono in ordine sparso e talvolta assomigliano addirittura a schegge impazzite. Altrettanto palpabile, però, è quella pulsione corporativa che secoli di storia non sono riusciti a cancellare e che in Italia riaffiora periodicamente come un fiume carsico. Il motivo è evidente: ogni categoria cerca una legittimazione attraverso la priorità nell’assegnazione del vaccino. A questo corrisponde la ricerca del consenso da parte dei pubblici amministratori che, garantendo a un determinato gruppo di lavoratori la possibilità di essere immunizzato prima di altri, puntano ad accaparrarsene il consenso.

Ma questo corporativismo, oltre a presentarsi come medievale e illiberale, alimenta un circolo vizioso caratterizzato da sperequazioni e capace persino di alterare i già precari equilibri democratici. A farne le spese, come troppo spesso accade, sono quanti avrebbero davvero bisogno di una “corsia preferenziale”. Un esempio? Disabili, dializzati, trapiantati e altri soggetti vulnerabili che, almeno in Campania, non hanno ancora garanzie su tempi e modalità con cui saranno vaccinati. Anche di questo il governo Draghi dovrà tenere conto.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.