Ambiente
Il nodo energetico in Italia, tra Regioni politiche locali e sfide globali

È chiaro a tutti che l’Italia ha sempre più bisogno di energia, ed emerge altrettanto chiaramente che ne ha bisogno a un minor costo, con maggiore sicurezza e una più semplice accessibilità: il cosiddetto punto di equilibrio del trilemma energetico. Eppure nonostante a livello nazionale e internazionale sia diventato un tema da battage elettorale, con quelle che inspiegabilmente vengono definite fonti di destra e fonti di sinistra, è nel livello locale che si consuma la più triste e dannosa demagogia.
Nel Paese che ha rinunciato al nucleare, comprandolo però dal Paese accanto, che ha abbandonato – giustamente – il carbone, mentre la Germania continua a bruciarlo, che vuole il phase out dalle fossili e storce il naso davanti al gas naturale – che per ora con gli accumuli e il nucleare è la soluzione più pulita per la stabilità energetica – sindaci e consigli regionali dicono No persino alle rinnovabili. Ora, gli sconvolgimenti geopolitici e le emergenze industriali di questo periodo rendono evidente che l’energia sia un asset trasversale strategico, forse il più importante, da gestire in maniera unitaria, centralizzata, con uno sguardo a medio/lungo termine.
Al punto che – correttamente – qualcuno propone di governarlo a livello europeo, con un prezzo comune, accompagnato da politiche fiscali omogenee tra gli Stati membri. Sembra questo l’unico modo per essere competitivi in un mercato globale, spesso disarmonico – a essere buoni – sul tema dei diritti e della concorrenza leale. Eppure, dal macro al micro, la cronaca locale descrive un quadro tanto desolante quanto irresponsabile. Le Regioni, nel sovra-esercizio delle proprie competenze in materia di energia, scavalcano gli impegni di rango superiore che lo Stato ha assunto sulla diffusione delle rinnovabili, limitando fortemente lo sviluppo di queste fonti, dichiarando le loro aree non idonee al 99%. Questa attitudine, purtroppo contagiosa, rischia di ostacolare il percorso di transizione energetica che abbiamo cominciato, esponendo il Paese a gravi instabilità, dipendenze dall’estero e costi energetici elevati. Eppure proprio le Regioni dovrebbero considerare come il cambiamento climatico rappresenti la principale minaccia per i paesaggi e gli ecosistemi che intendono proteggere.
L’esatto contrario è infatti quello di cui avremmo bisogno: un mix energetico ampio, costruito senza pregiudizi ideologici, immaginato per dare risposta alle esigenze di sviluppo e produttività del sistema Paese. Senza entrare allora nella discussione sulla legittimità costituzionale di questi atti, emanati da enti che i Padri Costituenti avevano immaginato ma si erano ben guardati dal costituire (sic!), è necessario un passo di responsabilità istituzionale e uno di coraggio politico, perché l’infrastrutturazione energetica del Paese è una priorità ineludibile. Nel cambio di paradigma quindi il dialogo tra Stato, Regioni e cittadini deve essere una collaborazione attiva e sincera, che superi i veti locali della subcultura NIMBY, in favore di una visione veramente comune, nazionale, o se preferiamo “patriottica”. Il domani, infatti, non può più essere ostaggio di interessi particolari, soprattutto se volti a brigare per le prossime elezioni e non per il benessere delle prossime generazioni.
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