E chi l’avrebbe mai detto che Vinicio Capossela dopo che coss’è l’amor, il ballo di San Vito, la bianchezza della balena, un povero Cristo e l’incontré ci avrebbe raccontato che coss’è una pandemia. O meglio: il Pandemonium, come lo chiama lui “da Pan, tutto, e demonio: tutto demonio, in opposizione a pan theos, tutto Dio” e quindi “un concertato per tutti i demoni, accompagnato da un insieme di strumenti musicali che insieme evocano il Pandemonium, mitico strumento gigantesco, del tipo dell’organo da fiera, completamente realizzato in metallo”. Lo stesso titolo era di quella specie di sussidiario quotidiano che ha tenuto sui social durante il lockdown. E appena è stato possibile, il cantautore, quel bestiario musicale e letterario, ha cominciato a portarlo in giro. In “narrazioni, piano, voce e strumenti pandemoniali. Con Vincenzo Vasi” ridotte all’osso. Lo scheletro del racconto tra una morna, un rebetiko, un mambo e un tanco del murazzo.

Primo appuntamento venerdì 17 a Ravenna. Atmosfera intima, raccolta, a distanza e in sicurezza post-quarantenale. Tutto era cominciato proprio in una camera a Nord, a Milano, il 19 marzo – piena emergenza – il giorno di San Giuseppe, la festa dei padri. Che per Capossela sono due: Vito, il padre che sognava Celentano, emigrante in Germania dal paese in Irpinia, e Renzo Fantini, il produttore del suo esordio. Da allora l’almanacco è arrivato sui social ogni giorno, alle 00:00 circa, come il pumminale, il lupo mannaro comunale, con il cantautore a parlare e cantare seguendo il calendario o scivolando via a tema libero. Da Gramsci a Dante, da Celine a Melville, da Gianni Mura a Hobbes, dal compleanno di Roma a Ulisse. Narrazioni e musiche a manovella, tutte con quel duende dentro di ogni altura o latitudine più o meno esotica. Una specie di radio libera, quella di Capossela. E, a differenza di altri show condivisi nella quarantena, un evento, lungo e spezzettato, ma dotato della coerenza di 30 anni di carriera. E che quindi giustamente diventa un live vero e proprio per una dozzina di date.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

#viniciocapossela • PANDEMONIUM • Narrazioni, piano, voce e strumenti pandemoniali. Con Vincenzo Vasi. #pandemonium 👉 https://www.viniciocapossela.it 🎫 https://bit.ly/PandemoniumLive Da Pan, tutto, e demonio: tutto demonio, in opposizione a pan theos, tutto Dio. Dunque un concertato per tutti i demoni, accompagnato da un insieme di strumenti musicali che insieme evocano il Pandemonium, mitico strumento gigantesco, del tipo dell’organo da fiera, completamente realizzato in metallo. A costruire il “Pandemonium” sembra siano stati i sudditi del re Laurino, esseri di piccola statura, abitanti di un regno sotterraneo in grande confidenza con l’estrazione mineraria. Questa origine ctonia conferirebbe un tono grave allo strumento che tiene a bassa quota lo spirito relegando ritmi e armonie a una dimensione infera, primitiva; i suoni che da esso si propagano non si elevano al cielo, ma sembrano sprofondare nella terra, a tiro del fuoco perenne, in un rimestamento che è lavorio della memoria continuamente sollecitata al fuoco bianco. “Pandemonium” è anche il nome della rubrica quotidiana tenuta da Capossela durante il periodo di isolamento quarantenale, sorta di almanacco del giorno, che indagava le canzoni e le storie che ci stavano dietro mettendole in connessione con le storie di una attualità apparentemente immobile, ma in continuo cambiamento. Pandemonium è un concerto narrativo con canzoni messe a nudo, scelte liberamente in un repertorio che questo anno va a compiere i trent’anni dalla data di pubblicazione del primo disco “all’una e trentacinque circa” (1990).

Un post condiviso da Vinicio Capossela (@vcapossela) in data:

Il più grande spettacolo della quarantena non era solo un tinello, un salotto, un’intercapedine con librerie pesanti dietro. Ma maschere sarde, voli, distorsioni e – soprattutto – letture, racconto, introduzioni con Capossela nel suo habitat a snocciolare dettagli, appendici, ganci alla musica e al racconto. Succede da sempre, d’altronde, anche ai suoi concerti. E probabilmente non sarà stata neanche roba da social. Sicuramente era buona per prendere aria, immaginare ancora un orizzonte fuori dai balconi.

E quindi il pandemonio ora se ne va in giro, in clandestinità. Solo qualche mese fa sarebbe stato difficile immaginarlo guardando dentro una camera a Nord a Milano. Un tour che è anche una scusa per ripercorrere 30 anni di canzoni e viaggi da quell’All’una e trentacinque circa del 1990 – Capossela aveva 25 anni, il produttore era appunto Fantini, Tenco all’opera prima – che avrebbe inaugurato la carriera di uno dei più eclettici e onnivori autori della musica italiana. Nozze di perla, tra Vinicio e la musica, che probabilmente saranno festeggiate meglio il prossimo autunno. Nel frattempo lui racconta e canta il suo pandemoniun dopo averlo in qualche modo profetizzato allo SponzFest del 2019 – il festival che ha ideato a Calitri, in Alta Irpinia – quando pestilenze e appestati erano tra i leitmotiv dell’edizione. Quindi, chi meglio di lui.

Antonio Lamorte