Il caso della riforma dello sport
Il pasticcio del governo Conte: l’Italia rischia di presentarsi senza inno e bandiera alle Olimpiadi di Tokyo
L’Italia come alla Russia alle prossime Olimpiadi estive di Tokyo, senza simboli nazionali? Se gli ex sovietici sfileranno senza bandiere per l’inchiesta sul doping di Stato, il nostro Paese rischia un trattamento simile per la contestata riforma dello Sport approvata dal primo governo Conte, quello formato da Movimento 5 Stelle e Lega.
Il 27 gennaio è infatti attesa la decisione del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, in una riunione che potrebbe vedere il nostro Paese sanzionato con una sospensione per la violazione della Carta Olimpica. Come detto, il caso nasce dalla riforma dello Sport messa a punto dal primo esecutivo Conte (con il leghista Giancarlo Giorgetti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo sport, ndr), riforma che già all’epoca era stata bocciata con un parare contrario del Coni, il Comitato Olimpico Italiano.
Preoccupazioni espresse anche dal CIO in una lettera in cui si metteva in dubbio l’autonomia richiesta dal regolamento tra potere politico- esecutivo e il Comitato olimpico nazionale. Nella missiva il CIO spiegava infatti che il Coni “non dovrebbe essere riorganizzato mediante decisioni unilaterali da parte del governo. La sua governance interna e le sue attività devono essere stabilite e decise nell’ambito del proprio statuto, e la legge non dovrebbe avere per obiettivo un micromanaging della sua organizzazione interna e delle sue attività. Le entità che compongono il Coni dovrebbero rimanere vincolate agli statuti del comitato, della Carta Olimpica e agli statuti delle organizzazioni sportive internazionali alle quali sono affiliate”.
Ma cosa c’era nella riforma? La parte contestata dal CIO e dal Coni stesso riguardava la divisione tra il Comitato olimpico e la ex Coni Servizi Spa, azienda che distribuiva i finanziamenti dello Stato per lo sviluppo dello sport nel Paese. La Coni Servizi per effetto della riforma è stata sostituita dalla società pubblica Sport e Salute Spa, attualmente presieduta da Vito Cozzoli. Con la riforma inoltre il 32% delle entrate fiscali che derivano dallo sport e che lo Stato centrale versa al Coni (che prima della riforma finanziava a sua volta il Coni Servizi) vengono divise tra Coni e Sport e Salute a livello ministeriale.
Intervenendo nei giorni scorsi ai microfoni di Rai Radio 1, il presidente del Coni Giovanni Malagò ha lanciato l’allarme: “Il rischio di andare a Tokyo senza inno e bandiera è molto elevato perché, dopo aver speso impegni e promesse senza essere riusciti a ottenere la soluzione di tutto, siamo arrivati all’ultimo miglio. L’Italia in questi frangenti però dà il meglio di sé e tira fuori il coniglio dal cilindro: è abbastanza imbarazzante essere arrivati a questo punto, tutto sanno il rischio che corriamo, ci auguriamo che chi ha l’onere e la responsabilità di trovare la soluzione quantomeno mantenga la parola”.
L’Italia, in caso di sospensione a gennaio, potrà avere altri due mesi di tempo per “sistemare la situazione”, ovvero fino al Comitato esecutivo del CIO in programma a marzo.
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