L’assenza di Giorgia Meloni al vertice di Kiev accanto a Emmanuel Macron, Keir Starmer e al nuovo cancelliere tedesco Friedrich Metz ha sollevato più di un sopracciglio nelle cancellerie occidentali. La decisione della presidente del Consiglio di partecipare da remoto, anziché con una presenza personale, è stata letta come un inciampo, soprattutto alla Casa Bianca, dove la sua scelta è apparsa come un segnale di disimpegno. Una caduta di stile che rischia di farla retrocedere dal campionato di Serie A della politica internazionale, conquistato con fatica nei mesi passati, alla Serie B dell’irrilevanza diplomatica.

È paradossale, se si pensa che tutto questo avviene proprio con la presidenza Donald Trump, riferimento politico di Meloni sul piano ideologico sovranista, populista, identitario. Ma è un errore pensare che questo legame ideologico basti. Trump non è un leader che distribuisce deleghe: è un solista, narcisista, imprevedibile e refrattario a qualsiasi forma di alleanza strutturata. Finora, in Europa, ha mostrato simpatia solo verso leader apertamente anti-sistema come Viktor Orbán. Nel contesto della scorsa amministrazione statunitense, Giorgia Meloni aveva conquistato un ruolo strategico accanto al presidente Biden, che l’aveva accolta con considerazione. Il gesto di Kiev, dunque, ha compromesso una costruzione diplomatica lunga e delicata. Sul fronte europeo, la premier italiana si ritrova isolata. I rapporti con Macron sono da tempo tesi e l’eventuale asse con il nuovo cancelliere tedesco Metz – un conservatore duro – resta tutto da costruire.

Intanto, l’Europa torna a bussare alla porta di Palazzo Chigi su un altro dossier scottante: il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, che l’Italia non ha ancora ratificato. Il pressing su Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, è diventato serrato: molti colleghi europei chiedono conto del ritardo italiano, mentre il governo prova a minimizzare parlando di “normale dialettica”. Ma la verità è che la posizione italiana è politicamente bloccata. La Lega ha dichiarato apertamente che non ratificherà mai il MES, e per Fratelli d’Italia sarebbe un tradimento della propria narrazione sovranista. Tuttavia, questo irrigidimento rischia di trasformarsi in un boomerang, non solo nei rapporti con Bruxelles, ma anche verso l’opinione pubblica europea.

Proprio per evitare di alimentare il malcontento popolare, il governo Meloni ha cercato di legare il rifiuto del MES a una difesa degli interessi nazionali. Tuttavia, c’è stato un altro MES, quello della sanità, bocciato dall’esecutivo Meloni. Aver detto no, a suo tempo, al MES non ha significato mancare di rispetto all’Europa, piuttosto ha significato scontentare gli italiani che hanno liste d’attesa chilometriche. Qui sta l’amara ironia della sorte: sul MES della medicina e della salute, il governo si è opposto proprio mentre i cittadini fanno i conti con un servizio sanitario inefficiente e allo stremo. Per uscire dalla crisi, sarebbe servito un cambio di passo. Giorgia Meloni avrebbe dovuto ispirarsi a figure storiche del conservatorismo europeo che seppero conciliare valori identitari con responsabilità pubblica, come Lord Beveridge, costruttore del welfare britannico.

Non basteranno slogan e fedeltà ideologica: senza scelte strategiche e presenza costante nei tavoli che contano, il governo rischia di giocarsi credibilità internazionale e consenso interno allo stesso tempo. Per Giorgia Meloni e il suo esecutivo, la fase politica attuale si sta rivelando tra le più difficili e delicate dall’inizio del mandato. Segnali di affaticamento e isolamento emergono su più fronti, – come visto – tanto a livello internazionale quanto in ambito europeo. In definitiva, la combinazione tra un atteggiamento esitante in politica estera e una postura ideologica in ambito europeo sta logorando l’immagine di un governo che si era proposto come forte, coeso e centrale nello scenario internazionale.
Oggi, invece, Giorgia Meloni appare sempre più costretta a rincorrere gli eventi, piuttosto che guidarli. E senza una svolta strategica, il rischio è che il “peso” italiano torni ad essere percepito come marginale ai tavoli che contano davvero.