L'intralcio
Il ritardo del governo sul 5G: quando la scelta è rinviare
Mentre l’Europa corre, potendo sviluppare pienamente la nuova tecnologia sulla base di severi limiti emissivi (61 V/m), l’Italia continua ad arrancare in coda. Tacciono i politici, balbettano le imprese. E il gap strutturale resta insuperabile
E dunque anche il governo Meloni (almeno per ora) non ce l’ha fatta ad adeguare i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici agli standard europei: nel maxi-decreto approvato l’altra sera, la misura, essenziale per lo sviluppo del 5G, è stata stralciata e – pare – sarà infilata in qualche prossimo veicolo normativo.
Tipico dell’Italia: quando c’è un problema da affrontare, il rinvio è sempre la scelta vincente. L’importante è che nessuno se ne abbia a male, e che tutti – governanti, oppositori, stakeholder e influencer vari – possano continuare a pascolare nelle praterie dell’immobilismo, chiacchierando del nulla senza assumersi responsabilità. Ci sarà sempre qualche arzigogolo procedurale a motivare l’ennesima non-decisione, e qualche azzeccagarbugli bravo ad infiocchettare l’inerzia con alate dissertazioni.
Resta il risultato. Mentre l’Europa corre – o può permettersi di farlo – potendo sviluppare pienamente la nuova tecnologia sulla base di severi limiti emissivi (61 V/m) definiti da organismi scientifici internazionali (l’IRCNIP), noi continuiamo ad arrancare in coda al gruppo con il nostro grottesco limite di 6 V/m, difeso solo dalle arcaiche lobby dell’ambientalismo estremo e da sciamani di varia provenienza.
C’è davvero da scandalizzarsi. O da deprimersi, fate voi. Almeno, in altri ambiti in cui siamo molto indietro rispetto all’Europa (taxi, balneari, solo per fare esempi recenti), abbiamo l’alibi di interessi particolari che non si riescono a smuovere, di incrostazioni corporative con cui bisogna fare i conti perché, in fondo, toccano le tasche di qualche categoria protetta.
Il rifiuto di permettere il pieno sviluppo del 5G è invece – e solo – figlio di un disarmante oscurantismo antiscientifico, cresciuto nella sciagurata stagione del populismo arrembante, evidentemente non ancora alle nostre spalle.
Non si spiega altrimenti il silenzio di tutti – dico tutti – in queste ore. Tacciono i politici: svicolano per opportunismo e viltà – loro, sempre pronti a dichiarare la qualunque su qualsiasi tema. Nessuno che abbia il coraggio di prendere in mano la bandiera del 5G: pretendono di parlare di futuro ad ogni ora del giorno senza gettarne le premesse.
Balbettano le imprese, anzitutto quelle di telecomunicazioni, come se si sentissero colpevoli di qualcosa. Hanno speso un sacco di soldi per ottenere le licenze del 5G e ora fanno una lobbying antica e timorosa, lavorano nei corridoi invece di parlare al paese, apertamente, dei benefici di cui il 5G può essere portatore. Cornuti e mazziati, insomma.
Fa finta di niente il sistema dell’informazione, sempre pronto a lanciarsi in alte grida contro le arretratezze del paese, salvo non promuovere mai uno straccio di campagna culturale e civile – autonoma e propositiva – per il superamento dei nostri gap strutturali.
Così langue il sistema Italia. Nell’eterno doroteismo di chi comanda, nei pigri ideologismi di chi si oppone, nell’ignavia colpevole dell’opinione pubblica.
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