Arriva la variante inglese ma, fortunatamente, sta arrivando anche il vaccino. Si sente domandare: ma sarà la panacea, la soluzione dei nostri problemi?  No, quello si chiama miracolo, lo fanno il Padreterno e i Santi, non le industrie farmaceutiche. Però un buon vaccino è quanto di più simile ad un rimedio portentoso possiamo immaginare.

Sulla mia spalla sinistra, come su quella di alcuni dei miei 24 lettori (Manzoni sosteneva di averne 25 e io non posso certo ambire a tanto), c’è un cerchietto impresso nella carne. Una volta non si usava il piercing e, se ce lo hanno fatto, è per ragioni sanitarie e non estetiche. È la traccia lasciata dal pennino infetto con cui veniva inoculato il virus del vaiolo, che ha prodotto una pustola rapidamente guarita. Il vaiolo era una malattia contagiosissima, letale per un terzo di quelli che la contraevano, e che arrecava danni permanenti alla quasi totalità dei sopravvissuti. Non esisteva un trattamento specifico. Le cure erano palliative e servivano solo ad alleviarne un po’ gli effetti. Le epidemie di vaiolo erano frequenti e devastanti. Come avrete notato, ho usato sempre l’imperfetto. Era, ora non è più…

Verso la fine del diciottesimo secolo Edoardo Jenner sperimentò il primo vaccino, somministrando ai suoi pazienti un virus analogo a quello del vaiolo umano. La risposta dell’organismo fu lo sviluppo di una malattia dai sintomi generalmente lievi che garantiva la resistenza all’aggressione del vaiolo vero e proprio. Quasi due secoli più tardi, nel 1980, grazie a una capillare campagna di vaccinazione, forse la più grande della storia (a parte quella che sta iniziando ora contro il Coronavirus), l’Organizzazione Mondiale di Sanità proclamò la totale eliminazione del vaiolo. Oggi il vaiolo non esiste più in natura. Ne rimangono esemplari in un paio di laboratori negli Usa e in Russia. Dalla lista dei molti mali che affliggono il genere umano dalla sua comparsa, la voce “vaiolo” è stata spuntata…

Nessuno più crede come Vico che la storia si ripeta, ma resta vero che in molti casi è maestra di vita. Penso che questo sia uno di quelli. Il Coronavirus ha paralizzato il mondo. Le ripercussioni sanitarie, economiche, sociali, psicologiche sono state, e sono tuttora, gravissime e innumerevoli. Il vaccino concluderà questo periodo nefasto.

Tuttavia molte persone sono comprensibilmente dubbiose e alcune scettiche sui risultati e timorose delle conseguenze della vaccinazione. Partiamo dal caso del vaiolo per cercare di dare loro una risposta convincente.

Il vaccino ci darà problemi, cioè si potrebbero verificare reazioni avverse?
L’aspirina è il farmaco più diffuso al mondo. Si usa correntemente in caso di febbre, di mal di testa, mal di denti, di dolori muscolari e, perfino, quando assunta con regolarità, per prevenire infarti cardiaci e ischemie cerebrali. Eppure, provate a leggere il bugiardino. Vi convincerete che sia pericolosa come mangiare il pesce palla poco cotto: è potenzialmente dannosa se si soffre di asma, di ulcera (indifferentemente gastrica o intestinale), di fegato o di reni; se si è in stato interessante, e quindi in assenza di flusso mestruale o, viceversa, se si hanno mestruazioni abbondanti; se si allatta, se si ha meno di 16 anni, se si hanno malattie del sangue o la gotta, se… va bene, basta così, penso di aver reso l’idea.

Farmaci senza alcuna controindicazione non esistono. C’è da meravigliarsi? Proclamiamo giustamente che la diversità è ricchezza, che non esiste un essere umano uguale adun altro, e possiamo mai pensare di reagire tutti nello stesso modo alla somministrazione di un farmaco, o vaccino che sia? Ogni giorno che ci svegliamo e usciamo di casa siamo consapevoli dei rischi a cui ci esponiamo. Infortuni, incidenti, contagi e fatalità varie. Neanche rinunciare a uscire di casa ci mette al riparo dai pericoli, se è vero che la maggior parte dei ricoveri urgenti sono dovuti a incidenti domestici. Nonostante questo, non rinunciamo a vivere. Usiamo prudenza attraversando la strada sulle strisce e comunque guardando sempre sia a destra che a sinistra, perfino nelle vie a senso unico, perché non si sa mai. Ma, dopo averlo eseguito tutto con attenzione, procediamo finalmente con l’attraversamento senza farci sopraffare dall’angoscia e dal senso di precarietà della vita! Così per il vaccino.

Bisogna fare tutte le cose a regola d’arte, ci mancherebbe altro. Fase I, fase II, fase III; collaudi e sperimentazioni; controlli ed elaborazioni statistiche dei risultati; confronti multipli e incrociati a doppio cieco tra il campione di volontari a cui è stato somministrato davvero il vaccino e il gruppo di riferimento a cui è stata iniettata solo acqua salata (che accettano, senza risentirsi, di essere stati presi per i fondelli).

Insomma, dopo aver guardato a destra e a sinistra, avanti e indietro (nel caso un pirata della strada guidasse sul marciapiedi); sopra (per essere sicuri che non stia precipitando un aereo) e sotto (semmai proprio in quel momento Goldrake avesse deciso di emergere con la sua Trivella Spaziale), ci facciamo coraggio e attraversiamo la strada.
È vero, la prudenza non è mai troppa, ma quando si è in pericolo è più prudente agire, che farsi paralizzare dal dubbio. Il vaccino è stato sperimentato, validato e approvato. Farà il suo lavoro, come quello di Jenner.

Però si obietta ancora che lo sviluppo e la validazione del vaccino siano state troppo rapide, o addirittura “precipitose”.
Figuratevi questa scena: entrate in banca, andate allo sportello e chiedete di prelevare centomila euro. L’impiegato, dopo aver verificato la disponibilità sul vostro conto, vi dice: “I soldi ci sarebbero, ma… in quanto tempo li avete guadagnati???”
Un certo numero di volontari si è prestato per sperimentare il vaccino. Per fare conto pari, diciamo centomila. Tutti sono stati sottoposti al protocollo di vaccinazione ormai consolidato nel corso dei decenni e la risposta è stata: il vaccino è sicuro. Diciamo che, per eseguire questa prova, ci abbiano impiegato un mese, vaccinandone diecimila al giorno per dieci giorni, e poi osservando gli effetti nei venti giorni previsti per l’insorgenza di eventuali effetti indesiderati. Vi sentireste più sicuri se, invece, ne avessero vaccinato uno al giorno per centomila giorni? Se sì, fate come l’impiegato che chiede al cliente in quanto tempo ha depositato i soldi che vuole prelevare dal suo conto corrente. Quello che conta è che tutto si sia svolto in conformità agli stringenti protocolli predisposti dalle autorità sanitarie.

Qualcuno tuttavia si domanda, anche legittimamente: come si spiega che il vaccino sia stato pronto in meno di dieci mesi, quando in passato occorrevano magari dieci anni?
Per due semplici ragioni. In primo luogo, non si è mai verificata nella storia una pandemia di proporzioni planetarie e, di conseguenza, non è mai accaduto che tutte le industrie farmaceutiche, quasi tutti i laboratori di ricerca di biologia molecolare e quasi tutti i singoli ricercatori si siano dedicati, in modo febbrile, ad un unico obiettivo, con una concentrazione smisurata di investimenti e di sforzi collettivi.
Secondo, perché… siamo nel 21° secolo! Oggi abbiamo a disposizione possibilità che solo alla fine del ventesimo secolo parevano fantascienza.

Nell’ultimo articolo di questa trilogia sul “Paziente Inglese” cercherò di spiegare in che consiste la novità del vaccino che ci somministreranno a breve e di rispondere in modo approfondito alle due questioni che ci attanagliano:
1. Sarà efficace anche contro la nuova variante inglese e altre eventuali varianti? Ovvero, una volta fatto il vaccino saremo protetti da tutte le sue possibili forme di Covid, e quindi per noi l’epidemia sarà un capitolo chiuso? E poi, 2. Chi ci garantisce che un vaccino sperimentale non possa produrre effetti indesiderati nel lungo periodo? Cioè, se il mese successivo alla vaccinazione non avremo riscontrato disturbi, possiamo stare tranquilli che non ne compariranno neanche in seguito? Le domande sono angosciose ma, per fortuna, il tempo di attesa per la risposta sarà breve.