Appena messo in una camera isolato da tutti, la prima domanda è stata: “Con che cosa paga?”. Inizia così il racconto del ‘viaggio’ nell’infezione da Coronavirus di Francesco Persico, vicesindaco di Azzano San Paolo, nella Bergamasca, 33enne elettricista che ha contratto il virus mentre era a 6mila chilometri da casa a New York.

Persico racconta il tutto dopo 8 mesi, quando l’Italia rischia di sprofondare in una seconda fase di lockdown, o quantomeno di un importante coprifuoco. Al Corriere della Sera il giovane vicesindaco di Azzano ha raccontato come, per fortuna, il salatissimo conto richiesto per le cure mediche fosse coperto dall’assicurazione fatta dall’azienda per cui lavora, la Automazione 2001. Altrimenti, come spiega Persico, avrebbe dovuto spendere “centomila dollari di ospedale più 2.500 per gli 800 metri in ambulanza, con il costo di 8.000 dollari al giorno in terapia intensiva”.

In realtà Persico ha effettivamente rischiato di dover sborsare di tasca sua l’ingente cifra chiesta dalla sanità della Grande Mela: “Una clausola diceva che l’assicurazione non avrebbe pagato se l’Oms avesse dichiarato la pandemia globale. La mia fortuna è essere stato ricoverato prima”, spiega il vicesindaco.

Il 33enne parla quindi del suo viaggio a New York, dove era arrivato il 28 febbraio per costruire un grattacielo assieme ad un collega dell’azienda, altri due elettricisti e due meccanici. Dopo una settimana arriva la febbre “ma come per la classica influenza”. La situazione non migliora e dopo 3-4 giorni iniziano capogiri e mal di testa, salvo poi migliorare la domenica. Lunedì la febbre sale ma dall’albergo “non mi hanno voluto mandare il medico, così abbiamo chiamato il 911”.

Persico si definisce “il paziente zero in quell’ospedale”, non a caso impreparato all’arrivo. Il vicesindaco ha dovuto aspettare “mezz’ora sull’ambulanza, “il personale ha allestito uno spazio lì per lì, mi hanno trasferito nel reparto di malattie infettive. Da me entravano protetti ma poi, li vedevo dal vetro, si cambiavano in corridoio. Mi hanno trasferito in terapia intensiva, con la maschera facciale dell’ossigeno”, racconta al Corriere, spiegando con un sorriso che in terapia intensiva i medici portavano “hamburger e patatine fritte, e pizza con il ketchup“.

Il vicesindaco di Azzano, entrato in ospedale il 9 marzo, ne esce il 25. “Quando sono stato dimesso non mi hanno fatto il tampone, dovevo rimanere 7 giorni in quarantena in hotel”, racconta Persico, ma sotto la porta della camera d’albergo trova un biglietto con scritto che “avremmo dovuto andarcene perché chiudevano”, circostanza avvenuta anche nel secondo albergo. Infine il ritorno in Italia il 4 aprile con un volo Alitalia disposto per il rimpatrio dei connazionali.