E se la canzone più famosa di sempre, quella in testa a centinaia di classifiche secolari, la stessa cantata almeno una volta alla recita alle elementari fosse anche la più fraintesa della storia? Si tratta di Imagine di John Lennon. E va pure bene che all you need is love ma qui la questione è politica: non si capisce bene come nasca, faccia dei giri immensi e poi torni il dibattito; fatto sta che a tirarlo in mezzo è ancora una volta la destra sovranista. Che alla canzone immaginaria e immaginifica con dà neanche una chanche.

Susanna Ceccardi, europarlamentare della Lega candidata presidente alle regionali in Toscana, ospite a In Onda su La7 ha parlato di canzone “marxista” e “comunista”. Già nel 2016 aveva detto che il mondo immaginato da Lennon “senza religione, senza confini, senza proprietà privata” era stato realizzato dall’Unione Sovietica. Ultima, allo stesso programma su La7, è arrivata la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha parlato di ’”inno dell’omologazione mondialista”.

È mai possibile? È questo che stanno a indicare quei “no possesion”, “no countries”, “no religion too”? La faccenda, come prevedibile, è più ingarbugliata. Soprattutto perché a partorire quei tre minuti o poco più è un artista che “è una spugna, capace di pescare dalla skiffle music all’orientalismo fino alla teoria del Primal Scream e dell’amore libero”, dice Michelangelo Iossa, storico e biografo dei Beatles e docente dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. John Lennon pubblica Imagine nel 1971 su 45 giri negli USA (il lato B è It’s so hard); quattro anni dopo nel Regno Unito (lato B è Working Class Hero). “Questo è il mio brano preferito dell’album”, disse indifferente presentandola alla band, sbalordita al primo ascolto. Per scriverlo l’ex Beatles aveva rispolverato gli esperimenti letterari di Yoko Ono, come ha raccontato Iossa nel suo Gli ultimi giorni di John Lennon (Infinito Edizioni, 2005).

La presunta dragon lady, imputata della scissione dei Beatles secondo alcuni, figlia di una famiglia dell’aristocrazia giapponese, a New York si era avvicinata a quella corrente artistica definita Fluxus nella quale rientravano Al Hansen, Emmet Williams, George Brecht, Jackson McLow e John Cage. “Yoko nel 1964 pubblica Grapefruit, un libro, che contiene degli haiku, sorta di brevi componimenti poetici giapponesi – spiega Iossa – tra questi ce n’è uno che fa proprio così: ‘Immagina che, immagina di’ e via con simboli e suggestioni ermetiche e straordinarie. Quando John scopre quel momento e movimento resta colpito, e in particolare da quel componimento”. L’anafora diventa seme e radice dei versi che sappiamo: il jealous guy ammetterà in seguito che la canzone avrebbe dovuto firmarla anche lei, la sua amante. “E infatti anni dopo l’Ascap (la Siae americana, ndr) accrediterà Yoko tra gli autori della canzone – chiarisce Iossa – il resto è ispirato in parte al Manifesto comunista di Marx ed Engels, come commenterà anche lui in intervista”. Ma l’influenza è comunque mediata da un pensiero tutto lennoniano, come avrà a dire lo stesso autore in un’altra chiacchierata, diventata storica perché l’ultima, lo stesso giorno dell’omicidio a opera del fan Mark David Chapman.

L’8 dicembre 1980 il Beatles diventato mito – quello che ha raccolto più attenzioni dopo lo scioglimento, quello che più sapeva utilizzare i media tra un bed-in e un “i Beatles sono più famosi di Gesù” – parla con Davi Sholin alla rete radiofonica Rko. “Spiegò il suo concetto di preghiera positiva così – ricorda l’esperto – ‘se puoi immaginare un mondo in pace, senza discriminazioni dettate dalla religione – non senza religione, ma senza quell’atteggiamento ‘il-mio-Dio-è-più-grande-del-tuo-Dio’ allora può avverarsi … una volta il Consiglio ecumenico delle Chiese mi chiamò e mi chiese: ‘Possiamo usare il testo di Imagine e cambiarlo semplicemente in Imagine one religion al posto di no religion?’ Ciò mi dimostrò che non lo capivano affatto. La modifica avrebbe affossato l’intero scopo della canzone, l’intera idea’” e quindi “il concetto fondamentale del quale tratta la canzone è che se tutti immaginiamo un mondo migliore sarà più facile raggiungere un futuro migliore’ ”.

Per completezza sul tema va citata anche God dell’album John Lennon/Plastico Ono Band (“dio è un concetto con il quale misuriamo il nostro dolore” e quindi “credo solo in me, in Yoko e in me”), tanto per dare assaggio della complessità dell’artista, seppur secondo alcuni critici a volte ondivago ed eccessivamente egocentrico, e della sua opera. “Dove sbaglia Meloni? – risponde Iossa – nella valutazione dell’opera, dell’intuizione, dell’ispirazione artistica fraintesa con una valutazione politica tout court. Anche perché Imagine e Lennon sono diventati, dopo l’omicidio, ciò che Lennon molto probabilmente non avrebbe mai voluto: lo aveva anticipato Paul McCartney pregando di non trasformare il suo amico in ‘un Martin Luther Lennon’”. E invece Imagine continua a essere usata in ogni occasione. “Gianni Morandi la cantò davanti a Papa Wojtyla, tradotta. Il presidente americano Jimmy Carter ne parlò come di un inno. Si canta a ogni disgrazia. Ma non è un passepartout, non è nata così”. E sicuramente non è nata per essere feticcio del “mondialismo”, qualunque cosa volesse intendere Meloni – forse una sorta di pensiero unico di sinistra opposto ai sovranismi. Quindi Imagine potrebbe essere equivocata non da due ma da più posizioni? “Sicuramente meglio Lennon che Lenin”, chiosa Iossa. In fondo era solo il volo tra poesia e società di un sognatore. Magari “not the only one”.

Antonio Lamorte

Autore