«Nostalgia e speranza sembrano essere le ultime risorse del cuore umano». Queste parole di María Zambrano possono fungere da preludio alla lettura dell’ultimo lavoro del filosofo Federico Campagna, Cultura profetica. Messaggi per i mondi a venire (Tlon). Da più parti avanzano voci che sollecitano nuove visioni per affrontare… ciò che va affrontato. E cos’è, che va affrontato? A questa domanda il dibattito generale replica indicando temi complessi come le migrazioni o il cambiamento climatico. Campagna risponde, in un modo dalla nettezza inquietante per chi sia poco avvezzo a meditare su orizzonti più vasti, che noi (precisamente: la “modernità occidentalizzata”) abbiamo da affrontare la morte della nostra civiltà. Dunque occorre munirsi delle parole e delle azioni giuste per finire bene e, così, lasciare ai mondi futuri un messaggio, una narrazione, un contenuto di pensiero: una visione. Il codice culturale per tutto ciò sta, per Campagna, nella cultura profetica: «il profeta mostra quello che ha visto, non attraverso una rappresentazione, ma stagliando una luce su di esso di fronte ad altre persone».
Prima di arrivare a esporre la propria idea, Campagna richiama taluni grandi cicli storici (la civiltà minoico-micenea, l’impero romano). Di esse sono rimaste rovine (qui risuona l’eco delle riflessioni di Zambrano) e, dentro e oltre esse, quell’essenza profonda, dinamica, che poi è stata riversata da un mondo a quello successivo in termini di memoria, tradizione, eredità culturale rielaborata dal mondo di dopo. Ciò è accaduto, per esempio, con la scrittura dei poemi omerici rispetto alla tramontata civiltà di dei ed eroi cantata in essi, oppure nelle strutture del pensiero teologico cristiano rispetto al lascito giuridico del mondo romano. Ebbene: noi, con le nostre bruttezze urbanistiche in ferro e cemento, non lasceremo rovine (fortunatamente). Nonostante la (o a causa della?) nostra vana iperproduzione culturale, difficilmente perdureranno tracce scritte di ciò che creammo. E gli stessi digital data (ansiosamente custoditi, catalogati, giuridicamente protetti negli spazi virtuali) spariranno inghiottiti dalla consunzione dei supporti tecnologici. Ma quell’essenza comunque distillabile dai processi storici, scientifici, letterari della nostra modernità occidentalizzata, quel che di bene tale essenza può trasmettere (traditio) al futuro, come preservarli?
Campagna individua una terapia costruita al modo degli epicurei attorno a un tetrafarmaco, i cui componenti sono espressi da quattro “figure esistenziali”: il metafisico, lo sciamano, il mistico e il profeta. L’articolazione dei loro diversissimi, contraddittori modi di “cantare” il mondo può assicurare il passaggio dalla fine della nostra civiltà al futuro, affinché agli abitanti di questa transizione (Campagna li battezza “adolescenti arcaici”) sia dato il modo di rivivere e modificare fino alla trasfigurazione (o alla menzogna necessaria) il nostro mondo moribondo: ciò che conta è salvaguardare un senso e garantirne la consegna.

La cultura profetica sceglie, per esprimersi, luoghi in cui la ragione, il pensiero logico, la rappresentazione realistica sono considerati insufficienti a cogliere il mistero più profondo dell’essere, l’incompletezza (e la relatività) ontologica del mondo in cui viviamo, che non è altro che un mondo. La cultura profetica accede, per esempio, al linguaggio del grottesco, che si sviluppa lungo linee fantastiche, non sempre comprensibili secondo gli schemi del linguaggio ordinario, procedendo in effetti mediante associazioni inedite, capaci di sintetizzare entità differenti e mettere a fianco l’una dell’altra realtà logicamente lontane. Il grottesco (come, in pittura, le grottesche scoperte sulle pareti della neroniana Domus Aurea) non teme di essere ridicolizzato a causa della violazione del principio di non contraddizione. Esso raccoglie l’indicibile, quella dimensione ineffabile di cui partecipano le varie realtà della nostra esperienza.

Campagna attinge alla letteratura, alla filosofia, a struggenti citazioni ora da Dionigi l’Areopagita ora dall’angelologia dell’ismailismo. Con una costruzione avvincente di argomenti che virano sulla narrativa nella parte finale, questo saggio chiama a raccolta gli spiriti affini da diversi tempi, da aree geografiche lontane, da generi di espressione del pensiero dissimili e però associati dall’esperienza del dire ciò che il linguaggio umano della logica non sa dire (e così anche abusati versi ungarettiani presi per il verso profetico danno luce, ancora).

Non siamo dinanzi a un elegante esercizio del pensiero da comunicarsi tra gli addetti ai lavori, né a una scrittura meditativa per anime solitarie che cercano di sopravvivere nella post-Apocalisse (la cultura profetica di Campagna infatti predilige l’Apocatastasi, e cioè il momento in cui, secondo l’insegnamento dei Padri della Chiesa, il mondo sarà «riassorbito dentro la Totalità della divinità»). Quello di Campagna è anche un discorso politico di tipo “insurrezionale”: «Il desiderio profondo della cultura profetica non è di stabilire un “nuovo ordine mondiale”, ma di inventare una modalità di worlding in grado di liberare i singoli soggetti dalla condizione paralizzante di dover scegliere se essere prigionieri del mondo in cui vivono, oppure del tutto orfani di mondo». Confrontandosi qui con il pensiero di Franco «Bifo» Berardi (che di questo volume firma la postfazione), Campagna tiene però a chiarire come la cultura profetica «è essenzialmente pre-politica, poiché un progetto politico, senza il sostrato metafisico adeguato, manca del terreno su cui potersi sviluppare».

Concordando con questo pensiero, mi permetto di apportare due soli esempi “pratici”. È evidente a chi punti a un orizzonte più ampio di ricerca e di senso che il tema della giustizia, e delle sue riforme (e non solo in Italia: questo va ribadito con estrema forza…), sia trattato con un linguaggio e una visione usurati, costretti in perimetri del tutto inadeguati. Lo stesso può dirsi dell’uso delle risorse comuni, oggi nella versione del PNRR o del MES: siamo rinchiusi nella stretta di vincoli logico-normativi il cui senso ultimo in termini di ricadute sulla Vita delle Persone sfugge. E forse sfugge perché è inesistente. In conclusione qui vuol dirsi che la statura politica di un singolo o di un gruppo o di una comunità oggi deve misurarsi con i temi sollevati nel bel libro di Campagna per formulare realmente un linguaggio efficace. E aggiungerei che tutto quanto si è detto vale in generale per le forme di racconto umane che osano elevare la loro voce in questa eclissi: prima fra tutte, per la letteratura. Ma anche per il diritto. Perché «la nuova posizione mondana dischiusa dall’atteggiamento profetico non è quella di un capo o di un re. Il suo luogo è quello della perdita».