Se a sinistra piange, nel centrodestra il riformismo non ride. E il suo appannamento coincide con quello di Forza Italia che, penalizzata dall’assenza del suo leader, sembra però subire un cambiamento genetico. L’augurio mio personale è di tornare già domani a proporre riforme come Silvio Berlusconi faceva assieme agli Antonio Martino, ai Ferrara, i Pera e i Marzano, i Tremonti e i Brunetta.

Perse parole forti e divisive su immigrazione e sicurezza, è su tasse, burocrazia, lavoro e modernità che Forza Italia deve ritrovarsi e recuperare ambizione riformatrice: il movimento che fu delle partite iva, nato dall’intuizione di un innovatore di impresa, calcio e costume per stravolgere lo status quo, aumentare le libertà individuali in uno Stato che faccia meno cose ma assai meglio, costandoci dunque meno tasse (“altrimenti capiamo chi fa sciopero fiscale”), e allestendo più opportunità per tutti riformando, oltre il fisco, la giustizia, la burocrazia, l’istruzione, e la concorrenza, non può faticare ad appoggiare le liberalizzazioni, o difendere corporazioni un po’ reazionarie; né passare in pochi anni dall’esaltare il merito dei dipendenti pubblici lavoratori su quelli fannulloni, a voler assumere più statali.

La seconda fase Covid aveva offerto un’occasione. Ma anziché intestarsi il restyling del rapporto stato-cittadino appannato da una gestione autoritaria del Covid che aveva ucciso partite iva e autonomi, se ne è usciti con la promessa di “non disturbare chi vuole fare” in mano a Giorgia Meloni anziché ai riformatori di Forza Italia, se ve ne sono ancora.

In una Nazione che tra quindici anni rischia cinquecento miliardi di Pil e di chiedere a un giovane di mantenere tre pensionati, in cui andrebbe tagliata la spesa pubblica monstre per premiare anche chi si azzarda a guadagnare più di 35 mila euro l’anno (loro il 60 per cento del gettito totale Irpef), in cui la vita si allunga e serve ripensare sanità e previdenza, serve una Forza Italia riformatrice e coraggiosa, non una che prima annuncia la raccolta firme per abrogare il reddito di cittadinanza e poi chiude la campagna elettorale promettendone il raddoppio, o che appoggia i semilockdown di Speranza e arriva terza a chiedere la riapertura dell’Italia, poi nicchia sulla concorrenza scegliendo balneari e tassisti anziché chi il taxi lo prende o il diritto di chi non trova un lavoro a inventarsene uno.

Vedremo se a Milano in questi due giorni a Milano, la scintilla rifomatrice tornerà ad ardere. E su quali volti. Sperando di riabbracciare presto Silvio Berlusconi. E ricordando pubblicamente, spero, Antonio Martino.