Mama Africa
Elezioni senza storia da oltre 20 anni
In Ruanda solo l’1% non ha votato per Paul Kagame, alleato forte e crudele dell’Occidente

Nessuno si aspettava grandi sorprese dalle elezioni presidenziali in Ruanda, ma la vittoria con il 99,15% dei voti da parte del presidente in carica Paul Kagame fa comunque molto rumore. Riconfermato così per la quarta volta l’uomo forte di Kigali dimostra quanto sia forte la sua presa sul piccolo paese della Regione dei Grandi Laghi, che nonostante le ridotte dimensioni resta un protagonista della geopolitica locale.
La vittoria di Kagame: opposizioni perseguitate
Il Ruanda dopo il genocidio dei Tutsi del 1994 e la guerra civile vinta dal Fronte Patriottico Ruandese guidato da Paul Kagame è stato ricostruito, ma non è mai diventato una vera democrazia. Le opposizioni, quel poco che ne resta, sono perseguitate e spesso costrette ad abbandonare il paese e qualsiasi voce dissonante viene ridotta al silenzio. Il caso più eclatante è indubbiamente quello di Paul Rusesabagina, il cosiddetto eroe dell’hotel Mille Collines che durante il genocidio del 1994 ha salvato migliaia di persone, che è dovuto scappare dal Ruanda e che in sua assenza è stato condannato a 25 anni di carcere con l’accusa di essere un terrorista che vuole rovesciare il paese.
Il casso Rusesabagina
La longa manus di Kagame non si è fermata nemmeno quando Rusesabagina si è trasferito all’estero ed è stato addirittura “dirottato” un aereo per farlo tornare a Kigali ed arrestarlo. Solo le pressioni internazionali hanno permesso a Paul Rusesabagina di tornare in Belgio, paese del quale detiene la cittadinanza, ma tanto basta a dimostrare la forza e con cui Kagame esercita il potere in Ruanda. Queste elezioni non hanno fatto che confermare la situazione del paese dopo soltanto due avversari si sono presentati contro il presidente in carica. Frank Habineza del Partito Verde Democratico del Ruanda che ha raccolto lo 0,53% delle preferenze e l’indipendente Philippe Mpayimana con appena lo 0,32%. Insieme i due oppositori non arrivano nemmeno all’1% dei voti espressi e le loro fragili campagne elettorali si sono svolte fra minacce e intimidazioni.
Il Ruanda alleato forte e crudele dell’Occidente
La percentuale di voti di Paul Kagame, che in un’altra epoca si sarebbe definita bulgara, non è però così sorprendente perché nel 2017 aveva ottenuto il 98,1% dei voti, nel 2010 il 93,7% e nel lontano 2003 il 95%. Se nel suo paese chi gli si oppone rischia la vita all’estero Paul Kagame è visto come un leader affidabile e vanta fortissimi legami con gli Stati Uniti che lo appoggiano incondizionatamente. Il Ruanda è un paese stabile e sicuro in un’area particolarmente turbolenta e molti paesi occidentali si affidano ai soldati ruandesi per operazioni militari, come ha fatto la Francia ingaggiandone un migliaio da inviare in Mozambico per difendere il gasdotto della Total a Cabo Delgado. Kagame però destabilizza i paesi confinanti con un conflitto mai del tutto risolto con il Burundi e soprattutto armando ed organizzando la più terribile milizia che occupa e saccheggia la confinante Repubblica Democratica del Congo. Il Movimento M23, questo il nome dei violenti miliziani, occupa città e villaggi lungo il confine fra i due paesi e sfrutta le miniere congolesi per contrabbandare in Ruanda minerali fondamentali come il coltan, il cobalto, il litio, l’oro ed i diamanti. Una situazione complicata che però l’occidente sceglie di ignorare per garantirsi un alleato forte e crudele in un’area geopoliticamente determinante.
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