Lo stile di vita odierno soprattutto nei paesi occidentali caratterizzato da cattive abitudini alimentari, fumo, abuso di alcolici e, soprattutto, da inattività fisica ha prodotto un forte aumento delle cosiddette “Malattie non Trasmissibili” (Non-Communicable Diseases – NCDs) quali il Sovrappeso, l’Obesità, alcuni tipi di Cancro, il Diabete tipo II, le Dislipidemie, l’Ipertensione Arteriosa, la sarcopenia, l’Ansia, la Depressione, la Demenza Senile.

A livello globale la maggior parte dei paesi è in ritardo rispetto all’Obiettivo Sanitario delle Nazioni Unite del 2030 che mira a ridurre di un terzo la mortalità precoce per le malattie non trasmissibili e desta molta preoccupazione, a livello sanitario globale, l’aumento dei casi di malattie metaboliche, ansia, depressione, sarcopenia, osteosarcopenia legato alla recente Pandemia da Sars-Cov 2 dove la gestione della stessa, in diversi casi scriteriata, ha prodotto un aumento della sedentarietà, del “rifugiarsi nel cibo” per lo stress derivante dal quadro sanitario e sociale, della mancanza di movimento legata nei bambini e adolescenti alla DAD (Didattica a distanza) e negli adulti allo smart working con una sedentarietà che copriva quasi tutta la giornata violentando così la nostra fisiologia che è invece strutturata per muoversi tutto il giorno.

In termini di costi economici è stato stimato che ogni dollaro USA investito nell’aumento degli interventi efficaci per ridurre uno o più fattori di rischio, ad esempio dieta, abuso di alcol e l’inattività fisica, delle malattie non trasmissibili potrebbe generare un ritorno fino a 7 dollari nei paesi a basso e medio reddito.
Le malattie non trasmissibili originano da una combinazione tra fattori genetici (non modificabili) e ambientali (modificabili). L’inattività fisica rappresenta un fattore di rischio modificabile per la stragrande maggioranza di queste malattie: dal sovrappeso, all’obesità, al diabete II, a diversi tipi di cancro, all’ansia e alla depressione. I costi globali dell’inattività fisica per i sistemi sanitari, basati su sole 5 malattie (malattia coronarica, ictus, diabete mellito di tipo 2, cancro al seno e cancro al colon), sono stati stimati intorno a 53,8 miliardi di dollari già nel 2013.

Secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista medico scientifica “Lancet entro il 2030 si potrebbero verificare, se la situazione non cambia globalmente, circa 500 milioni di nuovi casi di malattie non trasmissibili con un costo sanitario diretto di 520 miliardi di dollari dei quali il costo legato alla inattività fisica raggiungerebbe i 47 miliardi di dollari all’anno, con una percentuale maggiore di costi economici stimata intorno al 63% per i paesi a reddito medio elevato anche se il 74% dei nuovi casi di questa tipologia di malattie si verificherebbe nei paesi a basso medio reddito. Se andiamo a valutare nel dettaglio il costo del trattamento e della gestione di queste patologie, ad esempio la demenza, essa rappresenta solo il 3% delle nuove malattie non trasmissibili prevenibili ma corrisponde al 22% di tutti i costi; il diabete di tipo 2 ha rappresentato il 2% dei nuovi casi prevenibili ma il 9% di tutti i costi e i tumori hanno rappresentato l’1% dei nuovi casi prevenibili ma il 15% di tutti i costi.

Se valutiamo nel dettaglio i costi economici attribuibili alla inattività fisica questi sarebbero più elevati in Europa (32%), seguita dalle Americhe (25%), dalle regioni del Pacifico Occidentale (20%), dal Mediterraneo Orientale (13%), dal sud-est asiatico (8%) e dall’Africa (2%).

Questi i dati rilevabili ad oggi tuttavia è probabile che il costo e l’impatto sulla salute fisica e psichica della inattività fisica sia sottostimato poiché a questi costi, trattandosi di patologie croniche, andrebbero associati altri costi legati all’assistenza sanitaria, al sociale per l’impatto sulla produttività e, purtroppo, ai decessi, poiché tutte le patologie citate fanno parte di quella condizione patologica che potremmo definire “Longevità Malata” che incide sull’attesa di vita.
Chiaramente pur se l’inattività fisica è una fattore importantissimo e sottovalutato a livello di politiche sanitarie globali, altri fattori determinanti e anch’essi modificabili sono rappresentati dalla dieta, dalla cessazione del fumo e dall’assoluta diminuzione del consumo di alcol.

Per ciò che concerne la dieta, al di là delle più strampalate soluzioni che leggiamo sui social o che vediamo nei talk show serali la verità scientifica è una sola: limitare l’apporto calorico, limitare i cibi ad alto impatto sulla glicemia e di conseguenza sull’insulina (pane, pasta, dolci, bevande zuccherate e/o dolcificate con dolcificanti artificiali) aumentare il consumo di verdura stagionale, limitare la frutta zuccherina e, soprattutto, limitare al massimo il consumo di alcol, una vera e propria “pandemia” sottaciuta con danni sia metabolici che epatici che neurologici diretti e indiretti, oltre a una correlazione diretta con alcuni tipi di cancro (fegato, colon, mammella) e con le alterazioni del tono dell’umore (ansia e depressione, oltre ad una nuova forma potremmo dire di Disturbo Alimentare detta Binge Drinking).

Di fronte a questo quadro globale non c’è più tempo da perdere. È necessario un intervento vero da parte dei governi per promuovere un radicale cambiamento dello stile di vita e questo deve partire dalle scuole, è impensabile che la cosiddetta “educazione fisica” occupi nell’anno scolastico lo stesso spazio che aveva negli anni ’70, poiché in quegli anni i ragazzi si muovevano poi tutto il giorno e non stavano con gli occhi appiccicati sui cellulari e sui tablet.
Solo una vera e propria rivoluzione dello stile di vita che abbia come punto focale l’attività fisica e non i monopattini e i banchi a rotelle potrà frenare la pandemia da malattie non trasmissibili. Siamo già in ritardo, mettiamoci al lavoro.