Qualcuno, nel 2017, era convinto che l’avocazione avrebbe messo le ali alle indagini, evitando a migliaia di persone di rimanere per troppo tempo sotto la scure della giustizia. A quasi quattro anni dall’approvazione della riforma Orlando, però, lo strumento attribuito ai procuratori generali delle Corti d’appello sembra produrre frutti piuttosto modesti. Nel 2020, in Italia, soltanto 65 inchieste condotte dalle Procure ordinarie sono state avocate dalle Procure generali; sette di queste nel distretto di Napoli che comprende la provincia partenopea e quelle di Caserta, Avellino e Benevento.
Il dato emerge confrontando le statistiche diffuse da Enrico Costa, deputato di Azione e componente della Commissione Giustizia della Camera, con quelle contenute nella relazione di apertura dell’anno giudiziario tenuta dal procuratore generale di Napoli Luigi Riello.

Legge Orlando alla mano, l’avocazione viene disposta proprio dal pg qualora il pm non esercita l’azione penale o non chiede l’archiviazione nel termine previsto dalla legge: una norma che, un anno dopo la definitiva approvazione, il Csm ha interpretato escludendo qualsiasi automatismo e precisando che, affinché il pg possa prendere le redini delle indagini, occorre che si tratti di «processi prioritari» e di casi di «inerzia colpevole». Secondo Costa, però, tutto ciò è avvenuto in un numero troppo esiguo di circostanze: «I numeri dimostrano che non c’è alcun controllo, da parte di molte Procure generali, sulle indagini preliminari condotte dalle Procure ordinarie. E il fatto che ci siano inerzie notevoli da parte dei pm è dimostrato dai 43.375 reati prescritti in fase d’indagine, nel solo 2020, in tutto il Paese». Di qui la stilettata: «Evidentemente, le Procure generali hanno di fatto depotenziato l’efficacia della norma. Segno che, quando una legge non piace, non viene applicata – conclude il deputato di Azione – Sono pronto a presentare un’interrogazione parlamentare: la ministra Marta Cartabia è a conoscenza di questa situazione? Gli ispettori di via Arenula stanno vigilando? È giusto che su questo tema venga fatta chiarezza al più presto».

La pensa diversamente il pg napoletano Riello, secondo il quale la risoluzione adottata dal Csm nel 2018 ha consentito di applicare la norma sull’avocazione per scongiurare i casi di «indagini senza fine», ma «senza soffocare».  «È stato quindi il Csm, e non i pg, a rifiutare automatismi e a “depotenziare” la legge – sottolinea Riello – E bene ha fatto perché a rendere difficoltosa un’applicazione più ampia dell’avocazione sono l’attuale assetto e gli organici delle Procure generali che non sono attrezzate per indagini ad ampio raggio. Pensiamo al caso di Napoli: con 23 sostituti e nessun nucleo di polizia giudiziaria a diretta disposizione, sarebbe stato e sarebbe tuttora impossibile avocare tutti i procedimenti per i quali siano scaduti i termini».

Eppure, tra le toghe, il giudizio sull’avocazione è tutto sommato positivo, sebbene la previsione introdotta dalla legge Orlando non sia considerata sufficiente per cancellare la vergogna delle indagini-lumaca: «I procedimenti sono diventati più veloci soprattutto nelle Procure medio-piccole, dove la prospettiva dell’intervento del pg ha suggerito a molti pm una maggiore attenzione ai tempi di iscrizione delle notizie di reato e alla conduzione delle indagini – spiega Riello – Il problema della lentezza della giustizia, però, resta irrisolto in un Paese che, sul processo penale, legifera in modo troppo intermittente e procede per riforme dettate dalle singole emergenze e non certo ispirate da un disegno organico e lucido».

Su un elemento, però, Costa e Riello concordano: la necessità di una riforma – stavolta seria e organica – della materia penale. «Servono misure che non scarichino sui cittadini le inefficienze dello Stato», dice il deputato. «Ben vengano provvedimenti capaci di razionalizzare le “mini-riforme” approvate dal legislatore dal 1989 a oggi – osserva Riello –  L’importante è che non si continui a parlare genericamente di “riforma della giustizia” come se fosse una sorta di formula magica ma priva di contenuto. E bisogna far presto anziché giudicare i pm dal numero di processi che vincono, come se il processo fosse un gioco a premi, o affidare alla cabala la scelta dei componenti del Csm. Infine, i magistrati che sbagliano vanno puniti senza se e senza ma, mentre non va processata la magistratura».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.