I processi intentati dai destinatari di insulti antisemiti dovrebbero essere processi come tutti gli altri: cioè fatti per accertare, alla luce della legge uguale per tutti, l’esistenza e la portata lesiva dell’insulto. E la responsabilità di chi vi si abbandona. Invece quei processi – non sempre, per fortuna, ma sempre più spesso – cessano di essere processi come tutti gli altri, basati sulla legge uguale per tutti e diventano processi politici in cui hanno sfogo pregiudizi e “contestualizzazioni” assolutorie che con il diritto non hanno più nulla a che fare.

Liliana Segre, una sopravvissuta della Shoah cui tocca, ottant’anni dopo, subire una violenza ispirata allo stesso pregiudizio che la perseguitò allora, ha appreso di recente che, a giudizio di un pubblico ministero, le denunce contro la gentaglia che l’aveva aggredita con insulti odiosi sarebbero state meritevoli di archiviazione. Questo magistrato, secondo un orientamento non più isolato della giustizia di questo Paese (il Paese che fu delle leggi razziali, ricordiamolo), ha ritenuto di chiedere che quelle denunce fossero da archiviare, perché un “contesto” di polemica e dibattito riguardante Israele e il sionismo renderebbe comprensibili gli insulti a un’anziana ebrea.

Non è la prima volta che accade. Qualche mese fa, un altro magistrato di questa nostra Repubblica antifascista ha ritenuto di appellarsi al dibattito sul potere sionista nei mezzi d’informazione per assolvere il diffamatore: un soggetto che aveva accusato un giornalista ebreo di complicità genocidiaria, in quanto appartenente a quel presunto circuito predominante. E ancora, recentemente, un altro magistrato italiano ha ritenuto di potersi intrattenere – riconoscendola – sulla liceità di insulti rivolti a chi aveva parlato di “femmincidio” a proposito delle violenze subite dalle donne israeliane il 7 ottobre. Un termine improprio, ingiustamente degradato e svilito, ove adoperato, per descrivere l’assassinio delle ebree: il che appunto giustificava gli insulti a chi ne faceva uso. Sono soltanto due esempi di un andazzo giurisprudenziale ancora non totalitario, ma ben indirizzato ad accreditarsi, traendo nutrimento e giustificazione da quel pregiudizio.

La senatrice Segre, tramite il proprio legale, ha annunciato di volersi opporre alla richiesta di archiviazione di quel pubblico ministero. Sarà importante vedere se il giudice chiamato a decidere vorrà fare proprie o invece respingere quelle motivazioni inqualificabili, e cioè che un ebreo può essere liberamente insultato poiché dopotutto la responsabilità della stirpe genocidiaria è ormai materia di dibattito. Una colpa da cui l’ebreo può assolversi a patto che, in quanto ebreo, ammetta di esserne gravato. Non era diverso quando l’ebreo era chiamato a ripudiare il popolo – il proprio – che aveva ucciso Gesù Cristo.