A unire Francia e Inghilterra c’è un tunnel, lungo cinquanta chilometri, che attraversa la Manica. E poi c’è lei, Charlotte Gainsbourg. Francese da parte di padre, il mitico Serge. Inglese per madre, la mitica Jane Birkin. Ci sono Londra, dove è nata nel 1971, e Parigi nella storia e nella geografia di questa talentuosissima attrice e cantante, doppia figlia d’arte e figlioccia artistica del meglio del cinema d’autore europeo (Chéreau, Gondry, i Taviani, Varda, von Trier, Wenders) e americano (González Iñárritu, Haynes, Ivory), con sortita a Hollywood (Independence Day-Rigenerazione di Roland Emmerich, ma lì c’entrava il cachet).

La signora – giovanile, incontra la stampa vestita tutta in jeans – sembra a suo agio anche a Milano. Che ha i tetti parigini, i grattacieli londinesi e il centralissimo Anteo Palazzo del Cinema. Dove Charlotte arriva, con tanta voglia di raccontare. Di se stessa e del suo primo film da regista. Che poi non fa troppa differenza, perché Jane by Charlotte è «un film su me stessa, alla ricerca di mia madre». Un documentario intimo, familiare. Oltre a Jane Birkin, con Charlotte ci sono anche – in quotidiana naturalezza – la figlia piccola («per lei Jane è, semplicemente, nonna») e Serge Gainsbourg convitato di pietra. L’attore, regista e chansonnier, scomparso da più di trent’anni, in Francia è un’icona. «I francesi sanno tutto della mia famiglia, anche più di me. Era quasi doveroso condividere con l’intero Paese, ciò che mio padre fosse ai miei occhi. Non ho rivelato segreti e, potendo essere sincera, mi sono sentita rilassata a girare questo film» racconta l’autrice. Che sintetizza con efficacia l’intento e gli esiti dell’opera prima: «L’ho fatto in maniera egoistica. Per mia madre ma soprattutto per me. È la storia di una mamma e una figlia ma, con mia sorpresa, si sta rivelando un film capace di parlare a tutti».

Jane by Charlotte esce a giugno nelle sale, distribuito da Wanted. Prima, ad aprile, si vedrà Gainsbourg in Gli amori di Suzanna Andler (sempre per Wanted, vivace e coraggiosa casa di distribuzione). Nel film di Benoit Jacquot, tratto dalla pièce di Marguerite Duras, la prova d’attrice è straordinaria. Riempie la teatralissima scena, preda delle turbe esistenziali di una signora altoborghese in un villone della Costa Azzurra. «Avevo letto L’amante e Il dolore, ma conoscevo poco le opere di Marguerite Duras – dice Gainsbourg –. Per interpretare Suzanna Andler mi sono immersa nel testo per un intero mese. Una strana donna, lontana da me, che ha finito per assomigliarmi. Sta qui l’universalità di una grande autrice».

In questi giorni è nelle sale italiane con un altro film: L’accusa. La regia è del suo compagno (da trent’anni) Yvan Attal. Il protagonista è Ben Attal. Vostro figlio. È stato più complicato lavorare con sua madre, o condividere il set con il suo primogenito?
Due situazioni differenti. Con mia madre partivo da uno stato di imbarazzo personale. Per realizzare Jane by Charlotte, pretendevo di farle domande di cui a volte già conoscevo le risposte. Era la mia prima volta da regista e debuttare con lei è stato davvero particolare. Insieme a mio figlio avevo già recitato. Ma in L’accusa, Ben è protagonista. Il suo è un ruolo complesso. Un giovane accusato di stupro. Ho potuto cogliere la fragilità e l’ambiguità del suo personaggio. Una esperienza molto commovente. Anche essere diretta da Yvan non è semplice. Ci conosciamo molto bene. So quello che vuole e vivo sempre la frustrazione di non riuscire a darglielo.

È figlia di Jane Birkin e di Serge Gainsbourg. Di conseguenza, anche il fascino e la bellezza sono affari di famiglia.
Vengo da una famiglia in cui l’estetica è sempre stata importante. L’ho percepito sin da bambina, quando portavo i capelli corti e vestivo da maschio. Sembravo un ragazzino. Vedevo mia madre, bellissima, e crescendo è stato traumatizzante capire di non essere bella quanto lei. Penso a tutti gli adolescenti che si guardano allo specchio e non si piacciono. Oggi, lo vedo dai social di mia figlia, vanno per la maggiore le ragazze che hanno un grosso seno, un grosso sedere, la vita stretta. Sembrano tutte uguali. Ai miei tempi c’era Kate Moss. Particolare e favolosa.

Suo padre aveva origini est europee. Da artista sensibile, con carriera internazionale, vuole esprimere un libero pensiero sul conflitto in Ucraina?
Ho sempre sentito mio padre, mia nonna, le mie zie raccontare di essere russi e di avere lasciato la Russia nel 1917. Ora so che erano in realtà ucraini, provenivano dall’attuale Ucraina. Chi oggi lotta per il proprio Paese, nei fatti abita la terra dei miei antenati. Le immagini di guerra non ci sono inusuali, ma vederle arrivare da così vicino è traumatizzante. Comprendo cosa sia oggi l’Unione Europea, anche dopo l’uscita del Regno Unito. L’Europa è un’unica grande voce. E sono orgogliosa che la voce del presidente Macron sia pure la mia. Parole che supportano l’Ucraina, stanno dalla parte di tutti gli ucraini che combattono e di quelli costretti ad andarsene.

È stata diretta da grandissimi. Le sue esperienze come attrice l’hanno aiutata nel debutto alla regia?
Ho provato a mettere in pratica qualcosa visto in Lars (von Trier, con cui ha girato i trasgressivi Antichrist, Melancholia e il doppio Nymphomaniac, ndr.). Ma questo mio primo film da regista è molto lontano da ciò che fa lui. E non posso certo pretendere il contrario.

A chi dei suoi genitori pensa di somigliare di più?
Da entrambi ho ereditato la reticenza e il pudore nel mostrare i sentimenti. Yvan invece, con i nostri tre figli porta i sentimenti all’eccesso. Credo che sia meglio troppo che troppo poco. Da mio padre, le dichiarazioni d’amore nei miei confronti sono sempre arrivate in forma di cinema, canzoni, interviste. E pure io ho dovuto prendere una telecamera per fare una dedica a mia madre, nel finale di Jane by Charlotte. Oggi le somiglio sempre di più. Arrivo in ritardo agli appuntamenti, perdo voli… Mi arrabbio per questo. Ma ne sono anche felice.