È stata diretta da Nanni Moretti, Giuseppe Piccioni, Paolo Virzì. Ma non si chiama Margherita Buy. Di cui, secondo tanti, Elena Lietti è degna erede. «Di essere considerata la nuova Buy, proprio non ne avevo idea – ride l’attrice, al telefono (ed è una meraviglia ascoltare la sua risata, intensa e spontanea) –. Certo mi lusingherebbe, la ammiro moltissimo. Margherita è una soldatessa del set, come Nanni dice di lei». Moretti le ha volute entrambe nel suo ultimo film, Tre piani. «Ma le storie dei nostri personaggi sono parallele, non abbiamo quasi mai recitato insieme».

Stessa sorte avranno le colleghe, insieme nel cast ma divise dagli intrecci narrativi del nuovo film di Paolo Genovese, Il primo giorno della mia vita. Quello del regista di Perfetti sconosciuti e del recente Supereroi è un tassello del prestigiosissimo tridente di assalto al botteghino (speriamo!) e alla stagione dei premi, con cui Elena Lietti si presenterà al pubblico nei prossimi mesi. Gli altri due titoli sono l’atteso Siccità di Paolo Virzì e Le otto montagne, dal romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti, con Alessandro Borghi, Luca Marinelli e Filippo Timi. «In un momento così disgraziato, mi è capitato di partecipare a storie belle – racconta Lietti –. Di questi tre film ancora non posso dire nulla, se non che mi è piaciuto molto girarli. Spero ci siano altri begli incontri, dopo questi. A fine riprese, ogni volta mi domando: ma quando mi ricapita, una fortuna del genere?».

L’età dell’oro di questa interprete profonda e sensibile, classe 1977, si è fatta attendere. È iniziata nel 2017 con Il miracolo, prima serie tv del romanziere Niccolò Ammaniti («una perla di scrittura»). «Ho spesso pensato che ciò che mi sta accadendo, tutto insieme, sia dovuto a residui di vite passate. O parallele, come in Costellazioni». E’ lo spettacolo che Elena Lietti porta sulla prestigiosa scena milanese del Teatro Franco Parenti, fino al 6 febbraio, con la regia di Raphael Tobia Vogel. Il testo, del britannico Nick Payne, ragiona su una teoria della fisica quantistica, che sostiene l’esistenza di un infinito numero di universi.

E applica questa affascinante teoria a un rapporto di coppia, uomo-donna. Sul palcoscenico, insieme a lei c’è Pietro Micci.
Io e Pietro siamo molto felici di essere riusciti a portare Costellazioni al Franco Parenti. Quello di Nick Payne è un testo di forte interesse e risonanza internazionale. Ci ha incuriosito vederlo in cartellone nei teatri inglesi e Off-Broadway, con interpreti prestigiosi (fra loro anche il divo Jake Gyllenhaal, ndr.). È uno spettacolo molto voluto.

Quello degli universi paralleli è un tema affrontato da tanto cinema hollywoodiano contemporaneo. Come nei film dei supereroi Marvel, ad esempio. Le piacciono?
Assolutamente sì! Spero di non stare esagerando con mio figlio Leo, che ha solo sei anni. Ma insieme abbiamo già visto gli Avangers e l’ultimo Spiderman. Un film galattico, davvero. Quello degli altri universi è un tema molto frequentato e di grande interesse. In questi blockbuster c’è sia la voglia di intrattenere il pubblico, sia la necessità di affrontare riflessioni fondamentali. Come la tragedia greca, conducono lo spettatore a una catarsi.

Sul set ha più volte affrontato il tema della maternità. Alcune volte dolorosa (L’Arminunta), altre spensierata (la sitcom Alex & Co.). Ruoli che l’hanno aiutata essere mamma di Leo?
Sono stata mamma per finta prima di esserlo per davvero. Il mio lavoro mi ha concesso un punto di vista illuminante, su una faccenda reale. Viceversa, non è necessario sperimentare per interpretare.

Lei è nata a Saronno, in provincia di Varese. Vive a Milano, dove ha studiato e si è formata come attrice. La sua biografia è distante da Roma, cuore produttivo del cinema in Italia.
Sono un animale esotico, collocato nella romanità (ride, ndr.). Una nordica, c’è poco da fare! A Milano mi sono laureata in legge, all’Università Cattolica, e ho studiato recitazione da “Quelli di Grock” (storica scuola cittadina ndr.). Questa condizione comporta anche vantaggi. Perché consente di avere un punto di vista diverso, su un posto che non è il tuo. Coglierne meglio lo spirito e l’energia. Vale per Roma, come per qualsiasi altra città.

Suo marito è l’insegnante di recitazione Michael Margotta. Nato in Usa nel 1946, è membro dell’Actor’s Studio e una vera istituzione nel settore. Michael ha influenzato il suo modo di recitare?
Come vuole il luogo comune più ovvio, prima di innamorarmi del maestro sono stata una sua allieva. Mio marito mi ha insegnato tutto e continua a essere per me una fonte di ispirazione. È un folle, ossessionato dall’anima dei personaggi. Da lui ho imparato a lavorare, spero, senza paura.

Ci sono maestri di recitazione invece, che applicano un approccio duro nei confronti dei loro allievi.
Ho incontrato anche io maestri che, come metodo di insegnamento, applicavano il giudizio. Su di me, però, l’intimidazione funziona poco.

L’ultimo Festival di Cannes ha rappresentato per lei una ribalta internazionale. Tre piani era in corsa per la Palma d’Oro. Crede tornerà anche quest’anno? Magari con Siccità?
Spero soprattutto che la gente abbia voglia di tornare al cinema. Dovesse ricapitarmi Cannes, ben venga. Ma prima di occuparci dei festival, dobbiamo pensare alle sale.

Di Festival in Festival. Quest’anno a Sanremo ci sono cinque attrici-conduttrici, da Ornella Muti a Sabrina Ferilli. Se in futuro venisse chiamata anche lei, ci andrebbe?
È una eventualità che trovo molto improbabile ma, nel caso, certo che ci andrei. Sono una fan del Festival. Pensi, faccio addirittura il FantaSanremo (gioco online che consiste nel comporre squadre con i cantanti in gara, “acquistati” con una moneta virtuale: il “baudo” ndr.). Vuole sapere chi è la mia punta di diamante?

Prego …
La coppia Mahmood-Blanco. Ho speso un sacco per averli. Nei giorni di Sanremo sarò in scena con Costellazioni. Ma il nostro spettacolo è breve, poco più di un’ora. Confido sulla lunga durata del Festival, per riuscire a tornare a casa a vederlo.