«C’è un solo modo per sottrarci ai ricatti e al cinismo di autocrati come Lukashenko (o Erdogan), pronti a generare il caos e usare i profughi come armi di una guerra ibrida: dotarci di una politica estera e di una politica migratoria veramente europee». A sostenerlo è Lia Quartapelle, capogruppo del Pd alla Commissione esteri della Camera, responsabile Europa, Affari internazionali e Cooperazione allo sviluppo nella segreteria nazionale del Partito democratico.

Monsignor Vincenzo Paglia ha scritto su questo giornale un articolo bellissimo, di grande forza etica, nel quale accusava l’Europa di aver dimenticato Cristo. Non solo Cristo ha dimenticato. Ha messo sotto la sabbia tutta la cultura politica socialista, cristiana e liberale. Ha messo sotto terra la civiltà. Lo hanno fatto l’Europa e l’Italia. Che dire?
Spero che non sia fuori luogo rispondere con le parole del Papa a una osservazione di un vescovo eminente come monsignor Paglia, però nel leggere il suo scritto, di grandissimo impatto anche emozionale, mi è tornata alla mente una cosa molto giusta detta da Papa Francesco: possiamo accogliere finché c’è la possibilità d’integrare. Questo è quello che deve fare l’Europa. L’Europa non si è mai preoccupata del tema dell’integrazione e quindi è diventata tutta solo ed esclusivamente gestione dell’emergenza. Abbiamo modelli diversi tra paesi europei, quasi tutti che non hanno funzionato. Perché non ha funzionato il modello comunitario britannico, non ha funzionato assolutamente quello francese, un po’ ha funzionato il modello tedesco, un po’, però, perché poi i problemi con la comunità turca ce li hanno anche loro, soprattutto di carattere geopolitico. L’Italia arrivando in ritardo sul tema, e potendo trarre insegnamenti e indicazioni dai modelli che non hanno funzionato, potrebbe essere un esempio di quello che si può fare come accoglienza, dando dei limiti ma anche degli standard. Questo non c’è. Né nel caso afghano né in quello bielorusso o nel caso libico. E questa è una grande debolezza, perché queste persone vengono perché vogliono vivere in un certo modo, ma noi non ci preoccupiamo dei conflitti che questo modo genera, delle difficoltà che vivere in questo modo comporta e delle conseguenze che determina anche per noi, società che accoglie. Su questo dovremmo riflettere con grande attenzione e cura, stimolati anche da osservazioni critiche di spessore come quelle di monsignor Paglia.

La tragedia umanitaria ai confini tra la Bielorussia e la Polonia, i morti in mare, nel Mediterraneo e ora anche nella Manica, per non parlare delle condizioni disumane in cui versano decine di migliaia di disperati nelle isole greche. Che Europa è quella che assiste inerte, e a volte complice, a questo scempio di vite umane?
Quando si è insediata, Ursula von der Leyen aveva annunciato che la sua sarebbe stata una Commissione geopolitica. Poi c’è stato il Covid, e le priorità sono cambiate: la Commissione europea è riuscita in poco tempo, con Next Generation EU, a affrontare e sciogliere alcuni nodi relativi al fronte interno – che erano sul tavolo dei 27 da molti anni. Se c’è un ambito nel quale però la Commissione non ha fatto passi avanti è stato proprio sul fronte della politica estera, di difesa e delle migrazioni. Per questa ragione l’Unione europea si ritrova a fare su questi temi solo atti difensivi, che indeboliscono la capacità di promuovere gli interessi del continente e di proiettare a livello internazionale in modo credibile i valori alla base del progetto di integrazione europea. Quello che sta avvenendo al confine tra Bielorussia e Polonia e Lituania, con migliaia di donne, uomini, bambini, accampati lungo il filo spinato che costeggia il confine con l’Unione europea e tenuti lì bloccati dall’esercito bielorusso, è purtroppo la conseguenza della debolezza geopolitica dell’Unione europea.

Il che ci porta a parlare degli autocrati che la popolano…
Purtroppo conosciamo la brutalità e il cinismo del regime di Lukashenko, ma la sua ultima empietà, cioè a usare persone disperate come strumenti di una guerra ibrida contro l’Europa, supera tutte le sue malefatte precedenti. Il regime bielorusso ha organizzato finte agenzie di viaggio dalla Turchia, dal Cameron, dal Pakistan, promettendo un facile ingresso nell’Unione europea. Di fatto imbrogliando persone disperate, sfruttandole con due obiettivi: estorcere loro del denaro e utilizzarle per premere sull’opinione pubblica e sui governi europei, forzandoli a dialogare con lui. Dall’agosto 2020 l’Unione europea ha risposto in modo duro ai brogli elettorali e alla repressione, attraverso una politica di sanzioni crescenti nei confronti di molti esponenti del regime bielorusso. Giustissimo, ma queste misure sono state solo reattive rispetto a decisioni di Lukashenko. Non si è impostata nessuna strategia per contenere o influenzare il disastro bielorusso che andava svolgendosi ai nostri confini. Non abbiamo deciso se e come relazionarci con la Russia o con altri paesi che possano avere interesse a intervenire su questo dossier. Non abbiamo impostato nessuna fattiva iniziativa di sostegno strutturato dell’opposizione all’estero né di aiuto alla società civile in Bielorussia. Oggi ci troviamo a difenderci da una guerra ibrida scatenata ai nostri confini, senza essere in grado di rispondere in nessun altro modo se non ricevendo la presidente eletta della Bielorussia, Svetlana Tikhanovskaja, al Parlamento europeo.

Di nuovo l’Europa è alle prese con un autocrate che usa i migranti come arma di ricatto verso l’Europa. Erdogan ha fatto scuola…
Lukashenko usa i flussi di migranti perché ha imparato che questo per l’Unione europea è un nervo scoperto che scatena divisioni tra le nazioni europee e al tempo stesso non rilancia nessun tipo di iniziativa di politica estera. Le vicende della Libia e della Siria sono lì a dimostrarlo. I flussi di migranti, che sono una conseguenza dei conflitti in Libia e Siria e dell’instabilità dei due paesi, hanno destabilizzato l’Unione europea ma non hanno mai stimolato una vera azione geopolitica dell’Europa. Eppure c’è un solo modo per sottrarci ricatti e al cinismo di autocrati come Lukashenko (o Erdogan), pronti a generare il caos e usare i profughi come armi di una guerra ibrida: dotarci di una politica estera e di una politica migratoria veramente europee. Dobbiamo mostrare che come Europa non abbiamo paura dei flussi di migranti, che non litighiamo per chi debba gestirli, che abbiamo un piano comune per farlo.

In concreto?
Se in Europa non si può entrare per via legale, ci saranno sempre profughi e disperati che cercheranno strade per scappare dalle guerre, dalle persecuzioni. Ci saranno sempre persone che si fideranno di chi, trafficanti di Stato o banditi di mare e di strada, promette un facile passaggio verso la sicurezza e la libertà. Se non c’è vera solidarietà tra i governi europei per l’accoglienza, ogni paese si sentirà solo di fronte a una potenziale invasione. Si stima che in Bielorussia siano stati attirati con false promesse tra gli 8mila e i 22mila stranieri. Sono numeri che possono spaventare un singolo paese come la Lituania nel caso dovessero riversarsi tutti lì, ma sono un quantià che l’Unione europea nel suo complesso potrebbe gestire senza difficoltà. Questi dittatori sanno che utilizzando l’arma dell’invasione dei migranti acquisiscono un potere di pressione sui governi europei. Spuntiamola, questa arma!
I confini nazionali ed europei si proteggono con regole chiare per chi entra e esce, non con gli eserciti e i muri. E si proteggono con una vera proiezione geopolitica dei nostri valori e interessi.

L’Europa si è già dimenticata della tragedia afghana? E l’Italia?
Ad agosto l’Italia ha tenuto fede alla parola data a tutti quei cittadini afghani che nel corso degli ultimi venti anni hanno lottato per un paese diverso. Abbiamo evacuato oltre cinquemila persone, primi in Europa per numero di persone portate fuori dall’Afghanistan. Ciò nonostante, oggi, sono ancora molte le donne, i bambini e gli uomini a rischio immediato di vita. Le domande che ci pongono, e che noi poniamo al governo, sono: quando e come il nostro Paese intende proseguire l’evacuazione delle persone a rischio di vita? E quando e come verranno attivati i corridoi umanitari dai paesi terzi?

Nel quasi totale silenzio della comunità internazionale, in Afghanistan le donne continuano una eroica resistenza all’oscurantismo talebano.
Per anni, per spiegare l’impegno militare e politico in Afghanistan, abbiamo usato parole impegnative come diritti delle donne, democrazia, libertà, diritti umani. La decisione del ritiro dall’Afghanistan, le modalità del ritiro sono state la negazione di quei valori. Una società che non lotta più per la democrazia e per la libertà, una società che non sa sostenere chi nel mondo si batte per quegli stessi diritti, è una società morta. Stiamo a fianco di chi si è fidato di noi, di chi ha creduto che si potesse essere libere anche a Ghazni, a Herat, a Jalalabd. Di chi ha creduto che essere nate nel peggiore posto al mondo per essere donna non fosse un destino, ma una condizione da sovvertire. È il minimo che si possa fare, se vogliamo continuare a professarci democratici.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.