«Io faccio L’anima buona. Lui, invece, pensa all’azionariato popolare per sostenere l’Inter». Lui, è Roberto Zaccaria. Ex presidente Rai, tifosissimo nerazzurro. Altrimenti noto come consorte, dal 2010, di Monica Guerritore. L’artista romana dalla leggendaria carriera, lunga quasi mezzo secolo. Che moltissimo ha dimostrato ma mai di provare paura. Debuttante 15enne grazie a Vittorio De Sica, che la fece piangere per davvero sul set di Una breve vacanza (1973). Giovane donna, sogno erotico per Salvatore Samperi (Fotografando Patrizia) e per l’ex marito Gabriele Lavia (Scandalosa Gilda). Oggi la signora, sempre – orgogliosamente – bella, getta il suo cuore impavido oltre un ostacolo altissimo: Giorgio Strehler, il maggiore artefice del teatro europeo nel XX secolo. Guerritore lo conosceva bene. Fin dai tempi clamorosi del capolavoro Il giardino dei ciliegi, dal testo di Cechov alla mitologia del palcoscenico del Piccolo Teatro.

L’allieva dal precoce talento, recupera e omaggia il maestro nel centenario della nascita (a Trieste) e nella sua città di adozione. Al milanese Teatro Manzoni, fino al 17 novembre, Guerritore riprende per la scena contemporanea L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht. Si tratta di un omaggio alla versione strehleriana del 1981, pietra miliare. «È una delle cose più belle che io abbia mai visto a teatro» ammette l’attrice. Come interprete affronta un doppio e delicatissimo ruolo. L’anima buona Shen Te che, alla bisogna, assume en travesti le sembianze del cugino cattivo Shui Ta. «Uno spettacolo faticosissimo, per me e per tutti gli altri. Ma è anche liberatorio. Brecht rivela l’essere umano in tutta la sua complessità».

Da regista, tocca vedersela anche con gli haters da platea. A Milano, i temibili loggionisti della Scala non sono soli. A chi muove critiche per i suoi tagli alla edizione fiume di Strehler, che quaranta anni fa oscillava attorno alle quattro ore, Guerritore ribatte («ho spalle fortissime») e rivendica «fedeltà assoluta. Impossibile fare proseguire oggi uno spettacolo per più di tre ore. Lo diceva anche Brecht. L’anima buona di Sezuan non sta nella durata o nella traduzione, ma nella poetica». La versione di Monica è, fintamente, snella: 150 minuti. Ma di ottimo piglio. Il testo brechtiano si mostra sempre nella sua forza universale, dirompente. E la prima attrice, è strepitosa.

Riporta in scena uno spettacolo capolavoro, nel segno di Giorgio Strehler. In un anno e in una città, cruciali per ricordare il grande regista. Un rischio calcolato?
Da ragazzina, ero niente nelle mani del grande Strehler. A Milano è nato il migliore teatro europeo. Tornarci con questo spettacolo è una favola, la realizzazione completa della dedizione al mio maestro. Strano che il Piccolo non abbia cercato L’anima buona di Sezuan. Il Manzoni invece, lo ha voluto tantissimo. E per questo lo ringrazio.

Quali sono gli insegnamenti su cui ha fatto affidamento, per il suo lavoro da regista?
All’epoca di Il giardino dei ciliegi avevo sedici anni. Strehler mi consigliò di non stare dietro le quinte, durante le prove. Di non fermarmi al bar del Piccolo. “Resta qui con me, e guarda”. Così ho visto nascere e materializzarsi il teatro, da testi immensi. Per L’anima buona di Sezuan ho anche trovato un libro, scritto da una giovanissima assistente del maestro. All’epoca, lei aveva segnato ogni cosa. Addirittura come posizionare i proiettori. Il sole e la luna che non sorgono e non tramontano mai, la baracchetta di Shen Te … Lì si trova tutto.

All’origine dello spettacolo del 1981, c’è l’incrocio tra due geni. Strehler trova ispirazione in Federico Fellini.
È vero. Proprio da Fellini viene l’idea della baracchetta (fondamentale, nella scenografia magica di Luciano Damiani che Guerritore ripropone con inalterata efficacia, ndr.). Strehler fa questa scelta dopo avere visto in tv una intervista a Federico Fellini, in cui il regista raccontava di quando era alla ricerca di una location, adatta alle riprese del suo film Il bidone. Da qui la baracchetta, dove tutto è piccolo. Puoi trovarci una tendina, un fiorellino… Mi viene alla mente Lucio Dalla, quando cantava “C’è una casetta piccola così …”.

Che ricordo ha di quando Strehler muore, all’improvviso, a Natale nel 1997?
Fu il Piccolo Teatro ad avvisare, me ed altri artisti che avevano lavorato con lui. Malgrado all’epoca, al Piccolo vigesse sorta di damnatio memoriae nei suoi confronti. Io ero a Roma, sono salita a Milano per la veglia. Il pensiero che Strehler non potesse più mettere in scena le sue opere, mi sembrò terribile.

Sua figlia Lucia Lavia è una apprezzata attrice della nuova generazione. Ha mai pensato a quanto lei sia stata fortunata ad avere incontrato Strehler, quando era giovanissima?
Come lui, ne nasce uno soltanto. Lucia però ha avuto la fortuna di debuttare con suo padre, Gabriele Lavia, che di Giorgio Strehler è stato allievo. Penso che anche mia figlia (fino al 21 novembre al Teatro Basilica di Roma, con Voltati parlami di Alberto Moravia, ndr.) prima o poi farà L’anima buona di Sezuan. Così Strehler continuerà a vivere, per le nuove generazioni.

Questa sua versione è anche per loro.
Ho fortemente voluto fare rivivere Strehler, oggi, attraverso questo suo lavoro. Preso proprio così, come era negli anni 80. Certe registrazioni, ormai non funzionano più. È grazie alle traduzioni che sappiamo chi fosse Gesù, o Michelangelo.

Nasce in una famiglia di medici, lo erano suo padre e suo nonno. Crede che il teatro saprà raccontare la terribile pandemia, che condiziona la nostra epoca?
Penso a William Shakespeare. Nel Seicento, scrisse capolavori durante una epidemia di peste. La percezione del nulla e della morte, a volte rende più fertile la capacità di raccontare.

Il mese prossimo, a casa sua si celebra un compleanno importante. Suo marito compie ottant’anni.
Lo festeggeremo, insieme alle feste di Natale (il compleanno di Roberto Zaccaria è il 22 dicembre, ndr.). E il prossimo anno, tocca a Gabriele (Lavia fa ottant’anni, nel 2022, ndr.).