La natalità è in calo, in Italia “non si fanno più figli”. Presto, sbrigatevi e ripopolate il Paese. Sì, ma come? Via gli incentivi per il lavoro e l’imprenditoria femminile, via il sostegno per le spese educati dei figli. Iva aumentata sui prodotti per l’infanzia, donne costrette (sì costrette!) a scegliere tra il lavoro e la maternità. Sanno che diventare madri, quasi sempre, vuol dire rinunciare alla vita professionale. E no, non è retorica da bar, lo dicono i numeri. La premier, io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana aveva detto che “Se una donna deve scegliere tra lavoro e maternità allora non è libera”. 12 maggio 2023. “Vogliamo smontare la narrativa per cui la maternità è un disincentivo al lavoro, vogliamo incentivare chi mette al mondo un figlio e vuole lavorare”. 19 ottobre 2023. “Non c’è bisogno di rinunciare a una cosa per un’altra: fai tutte le scelte libere della tua vita, quello che dobbiamo fare noi è costruire gli strumenti per favorirlo. Voglio smontare il racconto che, se tu metti al mondo un bambino, ti precludi altre possibilità” disse sempre la Meloni. Insomma, le cose sono andate u po’ diversamente. Ne parliamo con Linda Laura Sabbadini, già direttrice Istat e pioniera europea delle statistiche per gli studi di genere.

Dottoressa, il governo sotterra il Family Act. La delega all’Esecutivo per attuare il piano è scaduta e quindi addio al sostegno per le spese educative dei figli, ai congedi di paternità, agli incentivi per il lavoro e l’imprenditoria femminile. Il ministro Roccella dice che era una misura ormai superata. Cosa ne pensa?

«Era un progetto importante. Purtroppo che rinviava a decreti attuativi senza individuare il finanziamento degli stessi. E come ormai sappiamo, con i decreti attuativi spesso si va a finire nel vicolo cieco della non attuazione. E così è successo, ora sono cancellati. Ma le linee strategiche erano importanti. Basti pensare all’allargamento delle possibilità di fruizione dei congedi di maternità e parentali a tutti i lavoratori e lavoratrici, l’estensione dei congedi di paternità, l’importanza del valore educativo delle attività extracurriculari, e la diminuzione dei costi per l’educazione formale compresi i nidi. Una cosa che avevo sottolineato a suo tempo è che si sarebbe dovuto accompagnare a un investimento serio nello sviluppo di servizi educativi per l’infanzia e di assistenza a anziani e disabili. Perchè questo è un nodo fondamentale sul fronte della natalità e della crescita dell’occupazione femminile. E purtroppo abbiamo visto che è successo sulla riforma della non autosufficienza. Approvata e poi decreto attuativo che rimanda a altri decreti di Ministeri. Così si potrà dire che la riforma è stata fatta, peccato che non è stata finanziata».

Ma leggiamo i numeri: una lavoratrice su 5 esce dal mercato del lavoro dopo un figlio, il 72,8% delle dimissioni dei neogenitori riguarda le donne. Il 2023 ha registrato un record negativo della natalità, le nascite si fermano a 400mila bambini. Solo il 57,8% delle donne con figli ha un impiego. Quali politiche davvero concrete si devono attuare per evitare questi numeri impietosi?

«Dobbiamo partire da una cosa fondamentale. L’emergenza non è Ia bassa fecondità. La bassa fecondità è l’effetto di assenza di politiche centrate sulle donne. Non siamo un paese per donne. Nel 1971 venne fatta una legge sui nidi pubblici, vi pare possibile che l’ultimo dato Istat dice che solo il 14% di bimbi vanno al nido pubblico? Altrettanti vanno a nidi privati. E ancora non abbiamo raggiunto il 33% di copertura dei nidi, obiettivo europeo per il 2010. E sono passati 14 anni. Ed è chiaro che contributi per le spese altissime per i nidi possono averli solo coloro che hanno nidi nelle loro zone. E dove non ci sono? Il tempo pieno non in tutte le zone è attivato. E se non ci sono i nonni come fanno le madri a lavorare e gestire tutto ciò? E i congedi di paternità? A suo tempo fu sbandierato il grande risultato “simbolico” di un giorno di congedo di paternità e poi di 3 e poi di 10. Possibile che dal 2000 non sono stati definiti i livelli essenziali delle prestazioni per applicare la bella legge del 2000 sull’assistenza? Si fanno le norme e poi non si finanzia la loro attuazione. Il risultato quale è? Che non investendo sui servizi non si investe su occupazione femminile. Perchè sono le donne la maggioranza del personale in questi settori. Lo hanno fatto i nordici. Lo ha fatto la Francia. Lo ha fatto la Germania. Perchè noi no? Perchè non si crede al valore sociale ed economico di questi investimenti. Fatto sta che in Europa siamo il paese con minore occupazione nella PA, sanità, scuola, assistenza. E chi è penalizzato? Le donne. È questa la vera emergenza: non avere politiche centrate sulle donne e non garantire processi di indipendenza dei giovani».

L’Iva dal 5% è tornata di nuovo al 10% su prodotti per l’infanzia e pannolini, tutte le belle frasi della Meloni sulle donne e l’importanza di non dover scegliere tra maternità e lavoro pare siano evaporate. Della seria sono una donna, una madre. Io mica voi. È così?

«Non mi piace la demagogia. Come statistica mi attengo ai dati. Giorgia Meloni può dire pure sono una donna, sono una madre. Pure io lo sono e tante di noi. E tutte sappiamo che è dura potersi realizzare su tutti i piani.
Io sono fortunata, ma per tante donne non è così. La maggioranza. La condivisione delle responsabilità genitoriali è fondamentale e non è maggioritaria. Per una Presidente del Consiglio sono importanti le azioni che fa. Non i proclami. Non si risolvono i problemi così. Tutto si deve misurare sugli stanziamenti che fa per lo sviluppo della libertà femminile. Buono il congedo parentale coperto all’80% per il primo mese. Ma è poca cosa. Il problema è il rilancio dell’occupazione femminile. Il tasso di occupazione femminile è al 52,5%. Ultimo in Europa. L’incremento nell’ultimo anno è per il 70% di ultracinquantenni. Le giovani non hanno ancora recuperato i livelli del 2008. E il quoziente familiare disincentiverà il lavoro femminile proprio delle madri».

Intervenendo ieri agli Stati Generali della Natalità, Papa Francesco ha detto che “non sono i figli il problema, bensì l’egoismo”. Ma perchè non si fanno più figli? Non si crede nel futuro? Cosa c’è al di là dei numeri in questa società?

«La scelta di avere figli deriva da un complesso di motivazioni. Molto spesso si rimanda e poi il rinvio si trasforma in rinuncia. Giocano aspetti economici, incertezza per il futuro, e le tante difficoltà che si incontrano nel costruire percorsi digitali indipendenti. Non sono convinta che il problema fondamentale sia l’egoismo, come dice il Papa. Rispetto la sua posizione. Penso che possa valere in casi particolari. Per esempio, le donne oggi vogliono realizzarsi su tutti i piani, questo ovviamente non è egoismo. Se fosse così sarebbero tante le giovani a dichiarare che non vogliono avere figli perchè a loro proprio non interessa. Invece tra le donne sono solo il 2%. Il problema è, ma su questo il papa sarà certamente d’accordo, mettere in condizione i giovani e le donne di avere il numero di figli che desiderano. In Italia questo numero è 2, ma il numero di figli per donna è 1.2. Vuol dire che ci sono ostacoli. E allora dobbiamo rimuovere gli ostacoli per trasformare il desiderio di maternità e paternità in realtà. E agire per sviluppare l’occupazione femminile, e i processi di autonomizzazione dei giovani. Investirci come hanno fatto tanti paesi avanzati. Ricordo che la fecondità è più alta proprio laddove l’occupazione femminile è maggiore. Questa è la svolta da dare. Fare una rivoluzione culturale delle politiche. Mettere al centro libertà femminile e indipendenza dei giovani. Questa è la sfida».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.