Hassan Rouhani lascia la Presidenza dell’Iran dopo otto anni e oltre 4.530 esecuzioni compiute durante il suo mandato, che aveva preso avvio nel 2013 con una riconferma nel 2017. Sette sono i candidati alle presidenziali del 18 giugno, tutti vagliati dal Consiglio dei Guardiani secondo regole chiare. Devono essere maschi, sciiti e ferrei sostenitori del principio del velayat-e faqih cioè del potere clericale assoluto che poi è quello della Guida Suprema. Uno tra tutti è il favorito. Quello che ha il sostegno di Ali Khamenei, la Guida Suprema appunto. È Ebrahim Raisi, il capo del sistema giudiziario iraniano. Ha firmato l’accettazione della candidatura l’ultimo giorno utile. Pressoché in contemporanea alla firma dei moduli presso il Ministero dell’Interno, Raisi ha firmato altri quattro “moduli”: gli ordini di esecuzione di quattro condanne a morte che da lì a poco sono state portate a termine. “Cambiamento” e “gioventù” sono gli slogan della sua campagna elettorale. Slogan paradossali per un probabile presidente che da capo del giudiziario non ha cambiato registro sulla pena di morte, anche nei confronti dei minori.

Il primo a salire sul patibolo, all’alba del 15 maggio, è stato Ali-Morad Zabihi impiccato nel carcere di Qazvin per un’accusa di droga. Il giorno successivo è stata la volta di due altri giovani uomini: Amir Bayati, impiccato all’alba nel carcere di Shiraz per un omicidio non intenzionale avvenuto durante una rissa per strada; Jamal Mohammadi, ucciso nel carcere di Ilam per aver ucciso un suo superiore a seguito di un diverbio. Infine, il 17 maggio, mentre il sole si alzava sul cielo di Isfahan, nel carcere della città, saliva sul patibolo Mehran Narouei, un laureato in scienze politiche di etnia baluci. È stato impiccato dopo cinque anni nel braccio della morte per un reato legato alla droga, nonostante la pena gli fosse stata sospesa. Nessuna di queste quattro esecuzioni è stata resa nota dagli organi di stampa ufficiali iraniani.

Da quando, nel marzo del 2019, Raisi è divenuto Capo della magistratura per scelta diretta della Guida Suprema, le esecuzioni si sono succedute a un ritmo di circa una ogni due giorni. Durante le elezioni presidenziali del 2017, quando Hassan Rouhani ed Ebrahim Raisi si contendevano la Presidenza, il primo ebbe a descrivere il secondo come un individuo appassionato di gabbie e forche. «La nostra gente – aveva detto Rhouani – non sceglierà chi negli ultimi 38 anni si è occupato solo di esecuzioni e prigioni». In effetti Raisi ha ricoperto diversi ruoli importanti nella magistratura iraniana prima di arrivare al vertice: Procuratore dal 1980 al 1994, Vice Capo della Magistratura dal 2004 al 2014, Procuratore Generale dal 2014 al 2016. In tali vesti ha detenuto, torturato e giustiziato migliaia di uomini e donne. In un’occasione, ha lodato l’amputazione della mano di un ladro, definendola “punizione divina” e “fonte di orgoglio”.

Raisi ha fatto anche parte della “Commissione della morte” che nel 1988, nell’arco di poche settimane, decise e mise in atto per ordine dell’allora Guida Suprema, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, un massacro di oltre 30 mila prigionieri politici, soprattutto Mojahedin del Popolo. Ebrahimi Raisi è sottoposto a sanzioni USA dal marzo 2019. È tra i “Volti della repressione in Iran” che come Nessuno tocchi Caino abbiamo chiesto all’Unione Europea di inserire tra i soggetti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. È notizia di questi giorni che Mehran Gharabaghi e Majid Khademi, due ragazzi di 29 anni arrestati nel gennaio del 2019, sono sotto processo e rischiano l’esecuzione per legami, veri o presunti, con quel movimento, i Mojahedin del Popolo, che cercò di annegare nel sangue trentatré anni fa. Pochi giorni fa, a processo ancora in corso, il Ministero dell’Intelligence ha preannunciato l’esecuzione di Mehran alla famiglia Gharabaghi chiedendo loro di fare pressioni sul figlio affinché rinunci alle sue opinioni e cooperi con l’intelligence contro i Mojahedin del Popolo.

“Cambiamento” e “gioventù” dice oggi il candidato Raisi. Ma la sua mente continua a essere agitata dagli stessi fantasmi di un regime clericale fuori dal mondo e fuori dal tempo. Il vero cambiamento che deve avvenire in Iran è quello verso un’alternativa radicale, laica, democratica al regime oscurantista, teocratico, illiberale dei mullah. Ma perché ciò avvenga è necessario e urgente un cambio radicale di regime nella politica europea che, purtroppo, continua a essere tollerante e accondiscendente nei confronti di questo Iran, quello del potere assoluto e mortifero incarnato dalla Guida Suprema e dal suo candidato preferito, il patito delle prigioni e dei forconi.