Mentre il ministro degli Esteri iraniano del governo Pezeshkian, appena insediatosi, promette al primo ministro del Qatar, Al Thani, di sostenere qualsiasi accordo di cessate il fuoco a Gaza eventualmente accettato da Hamas, Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore dell’esercito dei pasdaran, ha sottolineato che “la vendetta per l’uccisione a Teheran di Haniyeh è inevitabile e non potrà mai essere dimenticata perché è la vendetta per il sangue di un martire e dunque è una azione che certamente sarà messa in atto dall’asse della resistenza, per l’Iran”.

La “nuova era” nella politica estera della Repubblica islamica

La dichiarazione di Bagheri appare alquanto ambigua perché può essere letta come un segnale che non sarà l’Iran a compiere la ritorsione, rinunciando ad essa facendo affidamento sulla risposta delle sue organizzazioni “per procura”, quali Hezbollah e gli altri gruppi armati operanti nella regione. O forse rivela un disaccordo esistente tra le Guardie della rivoluzione islamica e Pezeshkian sulla natura e l’entità della risposta da dare a Israele. Intanto possiamo dire che l’attacco preventivo al gruppo terroristico Hezbollah segna una de-escalation e non un rischio di estensione del conflitto. Israele ha attaccato 270 obiettivi del “Partito di Dio” e distrutto alcune migliaia di lanciarazzi, facendo attenzione a non mettere in ginocchio tutte le capacità del gruppo paramilitare sciita libanese nel tentativo di impedire una guerra su vasta scala.L’Iran finora si è astenuto dalla rappresaglia contro Israele più volte minacciata, pur continuando a dichiarare di non aver abbandonato il piano di vendetta per l’uccisione di Haniyeh. Ma la perdita di deterrenza dell’Iran e di Hezbollah appare in queste ore in tutta la sua evidenza con il balletto “attacco non attacco”, “attacco forte o debole”, Teheran sta usando l’assassinio di Haniyeh per aprirsi un canale negoziale con gli USA; per dare il via a quella che Khamenei definisce una “nuova era” nella politica estera della Repubblica islamica.

La spada di Damocle della ritorsione contro Israele

Dalla retorica della guida suprema si potrebbe evincere che il nuovo ministro degli Esteri del governo Pezeshkian sia impegnato ad inaugurare una nuova fase nelle relazioni con gli Stati Uniti e che usi la spada di Damocle della ritorsione contro Israele per riannodare i fili dell’accordo sul nucleare dal quale nel 2018 l’amministrazione Trump si ritirò imponendo sanzioni ancora più severe all’Iran che hanno contribuito a mettere in ginocchio l’economia del paese.Ma attenzione, perché quella di Khamenei appare come pura strategia propagandistica finalizzata a tentare di uscire dall’isolamento internazionale in cui si è cacciato il paese e con la speranza di far cadere le sanzioni inflitte da Stati Uniti ed Europa e dunque per poter rimettere in piedi la sua economia disastrata, unica possibilità di salvezza di un regime odiato dalla stragrande maggioranza della popolazione, come è dimostrato dall’esito delle ultime elezioni del 2019 e del 2024 disertate da oltre il 60% degli elettori. In realtà sia gli ayatollah che i pasdaran non vogliono e non possono modificare il loro asse di politica estera, soprattutto con gli USA, altrimenti verrebbe meno la stessa ragion d’essere della Repubblica islamica così concepita dalla dottrina khomeinista con la sua ideologia basata sulla distruzione dell’occidente e sulla cacciata di Israele dal Medio Oriente.  Nella dottrina fondante della Repubblica islamica, la missione che ogni sciita osservante deve perseguire per preparare la umma al ritorno al puro Islam del Muhammad al-Mahdī – ultimo imam che per gli sciiti duodecimani si è occultato nel 940 d.C – è quella di rendere l’Iran una potenza in grado di conquistare il mondo e diffondere la dottrina dello sciismo. Tutto ciò viene insegnato nelle scuole iraniane a partire dalle elementari.

La relazione con gli Stati Uniti

Intanto, la tappa intermedia è quella di scacciare gli Usa e il suo «alleato sionista», Israele, dal Medio Oriente, visto come «usurpatore» ed «entità intrusa», e dotarsi dell’arma nucleare per affermare la propria egemonia nel mondo islamico e oltre. Infatti, se si ascoltano attentamente le parole del nuovo ministro degli Esteri si legge che egli ha detto che la loro politica non è pacificare la relazione con gli USA, ma utilmente gestirla e la continua minaccia di ritorsione dopo l’assassinio di Haniyeh serve per ottenere vantaggi da Washington in cambio della desistenza dalla minacciata ritorsione. Non è un caso se Abbas Araghchi, il nuovo ministro degli Esteri, in questo continuo gioco di minacce e di aperture, per la prima volta ha parlato della bomba atomica. La realtà è che ora Teheran non sa come gestire l’assassino di Haniyeh ed è in dilemma politico. La Repubblica islamica sta vivendo il suo momento più critico con una crescente opposizione interna che chiede di non sperperare più le risorse del paese per sostenere organizzazioni fondamentaliste e terroristiche islamiste che opprimono i palestinesi. Teheran è con le spalle al muro perché con un eventuale ritorsione che non sia blanda soccomberebbe e ciò potrebbe segnare la fine della Repubblica islamica.