Ma è chiaro il motivo per cui si chiede a Liliana Segre, la senatrice a vita sopravvissuta alla Shoah, di “prendere le distanze da Israele”? È chiaro il motivo per cui, nel grafico degli insulti e delle minacce che riceve questa anziana signora, la curva si impenna quando – com’è successo giusto l’altro giorno – si azzarda a pretendere rispetto della realtà e senso delle proporzioni nell’uso della parola “genocidio”?

Se non fosse chiaro, il motivo è semplicemente questo: che è ebrea. Liliana Segre non è più “israeliana” di un fruttivendolo catanzarese da otto generazioni o di una infermiera di Aosta da altrettante. Ma né a questa né a quello, nemmeno se diventassero parlamentari a vita, si richiederebbe di bardarsi di kefiah e di giurare sull’essenza neonazista di Israele. Invece questo si pretende da Liliana Segre, la cui ascendenza ebraica costituisce appunto una colpa da ripulire dichiarando il ripudio di una stirpe, la propria, platealmente genocidiaria.

È semplicemente mostruoso che non si capisca il valore simbolico, e la vera essenza, delle violenze che, oggi, in quanto ebrea, sta subendo la persona che fu la ragazzina deportata, ancora in quanto ebrea, ottant’anni fa. Sono sull’avambraccio di Liliana Segre le ragioni dell’odio – le stesse – di cui oggi è destinataria questa novantatreenne. E un paese che non ha fatto i conti con se stesso è quello che evidentemente non capisce di doverle delle scuse tanto più gravi e attuali. Scuse non per com’era l’Italia di allora, ma per com’è oggi.