In un articolo di qualche giorno fa ho ricordato la audace “mossa” del critico americano Lionel Trilling, che contrappone Jane Austen nientemeno che a Hegel e alle astuzie del pensiero dialettico; e attraverso i suoi personaggi apparentemente passivi, immobili, a volte perfino ottusi, svolge una critica della modernità. Qualcuno mi ha fatto osservare che così si elogia l’inerzia politica e si svaluta l’impegno civile. Credo invece che si tratti di declinare diversamente questo impegno. Provo a spiegarlo. Facciamo un passo indietro. Trilling, nato a New York, era di famiglia ebraica dell’Europa Orientale, ed è cresciuto leggendo in ebraico gli Avot, le sentenze dei padri, il sapere rabbinico raccolto nel secondo secolo (il libro si intitola Pirkei avot e appartiene alla Mishna).

Nel 1950 in una conferenza a Princeton“Wordsworth and the Rabbis” – mobilita in favore della sua tesi su Jane Austen, il poeta Wordsworth e appunto la tradizione rabbinica. Ora, se la modernità è movimento, “militanza”, coraggio, eroismo dall’altra parte troviamo la accettazione del mondo com’è, la celebrazione della semplicità biologica della vita (che non deve essere giustificata con le parole o con la forza), una morale antieroica (o meglio, la diffidenza verso l’”eroe” – preoccupato di guardarsi e di essere guardato -, cui si oppone il “giusto”, colui che ha il coraggio silenzioso di sopportare i fardelli dell’esistenza), la quiete (su tutto questo si veda l’importante saggio di Raffaele Ariano Filosofia dell’individuo e romanzo moderno. Lionel Trilling, tra critica letteraria e storia delle idee, Edizioni di storia e letteratura).

In tal senso Fanny Price di Mansfield Park (ma anche altri personaggi austeniani) si situa al polo opposto di Emma Bovary. E dunque: non dà più importanza a ciò che non ha rispetto ciò che ha, a ciò che è più lontano rispetto a ciò che è vicino, alla metropoli scintillante rispetto al noioso borgo rurale, a una vita fantasmagorica rispetto a un quotidiano sempre uguale, all’autorealizzazione rispetto all’autenticità dei sentimenti, al futuro rispetto al presente, all’immaginario rispetto alla realtà. Negli anni Settanta avremmo pensato a un gretto, provinciale conservatorismo, all’inerzia politica, un immobilismo regressivo. Oggi invece ci sembra che Austen, Wordsworth e la tradizione rabbinica rappresentino una critica alla hybris tipicamente moderna di voler migliorare il mondo e dominarlo, e al bovarismo che, come sappiamo, innerva la vita immaginativa della maggioranza, e non è altro che subalternità a tutti gli idoli sociali.

Fanny Price, a volte docile altre volte molto determinata, e che nella sua vita fa scelte radicali spesso apparentemente insensate (rifiuta il matrimonio con Henry Mansfield, che pure la ama e le garantirebbe sicurezza), è soprattutto fedele a se stessa, e al suo sentire, incurante di modelli esterni e mode. Trilling poi rievoca l’opera di Wordsworth, che, pur nella sua contraddittorietà, è rivolta contro la mentalità moderna, la quale ha una «predilezione per ciò che è possente, feroce, assertivo». Credo che sia utile per noi abitatori del terzo millennio, così simili a Emma Bovary (innamorati di ciò che è distante e di ciò che non abbiamo) rimeditare questa tradizione nascosta, poiché contiene anticorpi preziosi. Da una parte ci ricorda che non si dà un unico tipo di felicità – appunto legata all’autorealizzazione e al riconoscimento sociale – alla quale tutti dobbiamo per forza aspirare, insomma non ci sono esistenze meno degne in quanto incolori, antieroiche e anonime: Trilling rievoca qui gli idioti di Faulkner, i camerieri di Hemingway, le persone semplici di Lawrence e Dreiser, gli umili di Wordsworth, o anche il Leopold Bloom privo di orgoglio del’Ulisse joyciano contro Stephen Dedalus e il suo desiderio di prestigio…

Dall’altra potrebbe rendere il nostro stesso impegno politico o civile più maturo: certo, occorre battersi contro le (troppe) disuguaglianze, contro quella che Marcuse chiamava repressione “addizionale” (non giustificata dalla civiltà, dagli obblighi della vita in comune), e contro le dinamiche di potere (entro il nostro stesso comportamento quotidiano). Però sapendo che il mondo ha un proprio ritmo – imperscrutabile – , che occorre soprattutto ascoltare e assecondare, prima di volerlo piegare ai propri fini. È una lezione di misura e non di quietismo rassegnato.