Cosa accadde al Consiglio Superiore della Magistratura a marzo del 2020, quando si votò per il procuratore di Roma? Ci furono ‘condizionamenti’ esterni? La domanda è quanto mai opportuna all’indomani della sentenza del tribunale di Brescia che questa settimana ha condannato Piercamillo Davigo ad un anno e tre mesi di prigione per rivelazione del segreto d’ufficio riguardo i verbali delle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara.

Per la diffusione di tali verbali rilasciati ai Pm di Milano verso la fine del 2019 nell’ambito delle indagini relative ad un asserita corruzione da parte dell’Eni per l’acquisizione di alcuni giacimenti in Nigeria (processo conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati, ad iniziare dall’amministratore delegato di Eni Claudio De Scalzi, ndr), sono stati iscritti nel registro degli indagati il procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Cascini e il giudice della Cassazione Giuseppe Marra, all’epoca entrambi componenti del Consiglio Superiore della Magistratura insieme a Davigo.

Per comprendere meglio l’accaduto è necessario tornare all’udienza del 23 febbraio 2023 nel processo a carico dell’ex pm di Mani pulite dove venne sentito come testimone Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina e con Davigo fondatore della corrente della magistratura Autonomia&indipendenza.

Ardita, che con Davigo era stato in passato coautore di alcuni libri, pubblicati da Paper First, la casa editrice del Fatto Quotidiano di cui i due magistrati sono anche editorialisti, aveva raccontato dettagli fino a quel momento inediti.

In particolare, le ragioni di contrasto avute con lo stesso Davigo a partire dai noti fatti dell’hotel Champagne del maggio del 2019 a seguito dei quali quest’ultimo intendeva allearsi con la sinistra giudiziaria della corrente di Area mentre egli e gli altri consiglieri di Autonomia&Indipedenza, il Pm antimafia Nino Di Matteo, il predetto Marra e la giudice Ilaria Pepe, intendevano mantenere una posizione distante dal gruppo progressista per decidere di volta in volta la posizione da sostenere.

Tale posizione venne mantenuta fino a febbraio 2020 quando si dovette votare, prima in Commissione per gli incarichi direttivi e poi in Plenum, per la nomina del Procuratore di Roma. Rispetto a tale nomina il gruppo di Autonomia&Indipendenza decise all’unanimità di votare per il candidato Giuseppe Creazzo, allora procuratore di Firenze, che aveva molti più titoli del concorrente Michele Prestipino, aggiunto a Roma. Davigo, componente della Commissione per gli incarichi direttivi, disattendendo la posizione assunta dal gruppo, anziché votare per Creazzo votò per Prestipino. Dichiarò quindi Ardita che subito dopo dovette registrare che anche i colleghi Marra e Pepe avevano mutato opinione e che avrebbero votato in Plenum per Prestipino, sicché decise di chiedere spiegazioni proprio alla collega la quale “cominciò a dire che c’erano in quel momento delle forze che si contrapponevano alle questioni di giustizia parlò anche anche di forze oscure, non mi guardava in faccia, guardava dritto da un’altra parte del tavolo, sulla sua sinistra, la guardavo sbalordito perché fino al giorno prima aveva detto che non avrebbe votato per Prestipino”.

Quali fossero queste “forze” che si contrapponevano alle “questioni di giustizia” all’interno del Csm e che hanno determinato la nomina di Prestipino quale procuratore della Repubblica di Roma, nomina poi annullata dal giudice amministrativo, non venne nel corso dell’udienza esplicitato da Ardita e anche il presidente del collegio Roberto Spanò non fece in proposito alcuna domanda. Pepe, del resto, sentita anch’ella come testimone nel medesimo procedimento, lo scorso ottobre nulla aveva riferito circa le “forze oscure” che avevano imposto la nomina di Prestipino. Il presidente Spanò avrebbe dovuto, forse, riconvocarla per chiarire cosa accadeva all’interno del Csm tanto più dopo la sentenza del gup di Roma Nicolò Marino che, nella sentenza di assoluzione di Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo al Csm, ed accusata inizialmente di aver diffuso i verbali di Amara, ha esplicitamente parlato di “congiure di palazzo”. Per la cronaca, anche Di Matteo aveva fatto dichiarazioni in linea con quanto riferito da Ardita a proposito del mutamento di indirizzo in favore di Prestipino da parte di Pepe e Marra.

Un chiarimento sul punto sarebbe, allora, quanto mai opportuno per non lasciare zone d’ombra e sospetti su una delle decisioni più importanti effettuate dallo scorso Csm: la nomina del procuratore di Roma, l’ufficio giudiziario più importante del Paese.