Roma, Comune, qualche giorno fa. Una delibera approvata in commissione convocata in fretta e furia per ammissione dell’assessore alla cultura, Miguel Gotor, stanzia un finanziamento da 250mila euro, senza bando, solo cinque giorni dopo quella che più testimoni giurano sia stata una sfuriata di sette ore, di Valerio Carocci, già animatore dell’occupazione pluriennale del cinema America, a Roma, e oggi Presidente della Fondazione che riceve il finanziamento in questione. Soddisfatto, commenta: “Si devono battere i pugni per ottenere qualcosa”. Ottiene soldi derivanti dalle tasche dei romani, i contribuenti più tartassati d’Italia.

Qualche giorno prima, sempre a Roma, il Ministro della Pubblica Istruzione Anna Maria Bernini, riceve al Ministero una pattuglia di ragazzi che sostengono l’iniziativa, molto mediatica e assai poco appoggiata davvero, del popolo delle tende, quello che afferma sia incivile farsi ogni giorno 38 minuti di treno regionale, smartphone in mano, per andare a studiare in una Università dove paga di tasca propria solo il 20 per cento della retta, essendo il restante 80 per cento del costo a carico della collettività che li mantiene pagando le tasse più alte d’Occidente.

Alcuni di loro sono gli stessi personaggi che da qualche mese straparlano in assemblee alla Sapienza dal contenuto vicinissimo all’eversione poi escono e, con piglio barricadero e accento alla Ruggero di Un Sacco Bello (sì, lui, quello di “Ravanelli, piselli, love love love”), sentenziano: “Governo di fascisti, non passerete. Noi resistiamo”. Qualcuno appoggiava anche la battaglia dell’anarchico Cospito contro il 41bis.

Un secondo dopo averli ricevuti, il Governo si vanta di aver sbloccato 600 milioni di euro per l’edilizia studentesca. Vari esponenti della maggioranza corrono davanti a microfoni e telecamere rivendicando la misura, che peraltro sarebbe una goccia nell’oceano, considerato che i fuori sede in Italia sono oltre 750mila, e le risorse destinate dal Pnrr all’edilizia studentesca dovrebbero risolvere appena 60mila casi.

Cosa hanno in comune questi due fatti di cronaca? Che dimostrano plasticamente la debolezza della politica, la sua incapacità di mantenere fermo il polso una volta che si è presa una decisione che – si immagina – sia stata oggetto di riflessione e determinazione. Tanto il governo di Roma, quanto quello nazionale, hanno la mano tremula appena si accende una telecamera a favore di qualche capopopolo da due lire, qualche mini agitatore di piazza che bercia sciocchezze sul fascismo e sulla propria auto decretata funzione di resistente.

Dispiace vedere tanta debolezza, o il tentativo di abbracciare la contestazione illudendosi di spegnerla. Non siete in grado di sostenere un conflitto con chi prende iniziative cool e di rilievo e impatto mediatico, anche se sono palesemente sbagliate? Avete dimenticato che il popolo ha votato, e dato mandato chiaro, molto chiaro, a una maggioranza che sorregge un Governo di fare alcune cose, di ispirarsi ad alcuni principi, di prendere decisioni e dare loro corso? O pensate vi abbia dato mandato al tea delle cinque con agitatori di piazza, occupatori di immobili, e minoranze assolute ma chiassose che si accampano fuori dalle università per chiedere di poter “avere una socialità (ovviamente a buon mercato) a ridosso dell’ateneo”? È la stessa debolezza mostrata da chi amministra da dieci anni le città teatro di protesta e va a stringergli la mano (a Milano 9 tende e 20 telecamere).

È lo stesso principio che ci ha portato a votare una ridicola riforma del taglio dei parlamentari, o a fare leggi sull’impeto della cronaca. E se un domani, atteso che l’Italia avrà di certo, a breve, un problema di sostenibilità del suo assetto pensionistico (essendo sempre più vecchia e avendo sempre meno giovani al lavoro), doveste mai mettervi severamente mano, e scoppiasse un tumulto alla francese, o giù di lì, che cosa farete? Consegnerete ai manifestanti le chiavi del Governo di Roma e dell’Italia?

Prendete decisioni, spiegatele al meglio, cercate di convincere gli italiani della bontà del principio che le ispira e della concretezza che ne caratterizzerà l’applicazione, e poi però tirate dritti. La concertazione si fa con chi vuole andare avanti e suggerisce come. Non con i prevaricatori luogocomunisti. Buon lavoro.