La riflessione
La domenica pomeriggio non esiste più: così cancelliamo il giorno sacro del riposo
Che fine ha fatto quel giorno di festa che dovrebbe essere dedicato al recupero delle relazioni, alla cultura, all’incontro autentico con gli altri? Al posto di dialogare, uscire, leggere, giocare, fare l’amore o semplicemente stare insieme?

La domenica pomeriggio, un tempo consacrata al riposo, alla socialità, al ristoro del corpo e dello spirito, è diventata un rito collettivo incatenato al piccolo schermo. “Siamo milioni, attaccati al video, la domenica pomeriggio”: così scriveva allarmato Nanni Loy su L’Unità del 4 ottobre del 1981, parlando di un fenomeno che non era soltanto una moda passeggera, ma una trasformazione profonda del modo in cui gli italiani iniziavano a concepire il loro tempo libero. Quella domenica televisiva non era un semplice momento di intrattenimento, ma una vera e propria prassi sociale che ha cambiato radicalmente l’idea stessa di riposo e di svago. La televisione era divenuta la protagonista indiscussa della domenica pomeriggio, sostituendo con la sua immobile presenza le attività vive, concrete e relazionali che in passato animavano il fine settimana. E non è un caso che questo fenomeno abbia radici in un’epoca in cui la mobilità era limitata dai divieti di circolazione delle automobili nei giorni festivi: impossibilitati a uscire, gli italiani trovarono nella tv una finestra fissa e costante, un’alternativa statica al dinamismo della vita reale.
Il contenitore televisivo
Così, la domenica smise di essere un giorno “sacro” dedicato alla socialità, alla cultura, al dialogo e al gioco, per trasformarsi in un flusso ininterrotto di programmi: telefilm, sceneggiati, varietà, chiacchiere da salotto e soprattutto le partite di calcio, che rappresentavano un appuntamento sacro per milioni di tifosi. Da questa mescolanza nacque il cosiddetto “contenitore televisivo”: un calderone eterogeneo in cui ogni genere si sovrapponeva in nome di una spettacolarizzazione costante, con l’obiettivo di intrattenere. Domenica In, con la conduzione di Pippo Baudo, divenne l’emblema di questa logica: un sistema che, più che nutrire la mente e lo spirito, appiattiva le esperienze e riduceva la complessità della vita a immagini e suoni da fruire passivamente.
Che fine ha fatto il giorno di festa?
Nanni Loy poneva un interrogativo ai suoi lettori: “Che si fa, compagni? E se tentassimo un blackout, un’operazione video spento? E se cominciassimo a pensare di smettere sul serio di pagare il canone?”. Che fine ha fatto quel giorno di festa che dovrebbe essere dedicato al recupero delle relazioni, alla cultura, all’incontro autentico con gli altri? Al posto di dialogare, uscire, leggere, giocare, fare l’amore o semplicemente stare insieme, la scelta dominante è quella di abbandonarsi passivamente al piccolo schermo. Si perde così la possibilità di una socialità viva, fatta di scambi, risate, discussioni, di momenti che si imprimono nella memoria e nel cuore, sostituiti da un consumo passivo e spesso poco significativo. Questa riflessione, più di quarant’anni fa, apparteneva, a pieno titolo, alla cultura della sinistra comunista, che faticava a liberarsi dalle ideologie e denunciava la mercificazione dei tempi di vita e delle esperienze personali.
La televisione ha perso il ruolo egemonico
Oggi tutto questo genera un misto di stupore e tenerezza. La televisione ha perso quel ruolo egemonico e incontrastato che aveva allora: il controllo e l’attenzione sono frammentati su molteplici piattaforme digitali, smartphone, social network e streaming, strumenti che non solo hanno amplificato, ma ulteriormente complicato la relazione con il tempo libero e la socialità. Il paradosso è che, se allora la critica era rivolta a un “mostro tentacolare” che entrava fisicamente nelle case italiane, oggi lo “schermo” è diventato un’estensione del corpo stesso, uno spazio di immersione continua e individuale che porta a un isolamento ancora più profondo. Camminiamo per strada con gli occhi fissi su uno smartphone, sediamo a tavola con la testa immersa nei social, trascorriamo ore a scorrere contenuti senza più la dimensione condivisa di una volta.
Il tempo della domenica, un tempo prezioso
E allora: cosa scriverebbe oggi Nanni Loy, osservando questa nuova realtà? Avrebbe descritto un mondo ancora più frammentato, dove la domanda “che si fa, compagni?” rischiava di perdersi nel silenzio di una società sempre più connessa, ma paradossalmente sola. Il tempo della domenica – un tempo prezioso, da custodire – rischia di essere consegnato non più a un unico schermo fisso, ma a mille piccoli schermi personali, dove la socialità si dissolve in un mare di immagini e notifiche. Eppure, in mezzo a tutto questo, resta una domanda aperta e urgente: quanto spazio rimane alla dimensione umana del riposo, alla cultura, alla riflessione e all’incontro autentico? Riusciremo a ritrovare, anche nella modernità ipertecnologica, quel “giorno sacro” che possa davvero essere un momento di libertà e non una resa passiva all’intrattenimento?
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