Contro la legge russa
La Georgia bussa alla porta dell’Europa: cittadini in piazza contro la “legge russa”

Quando Vladimir Ilic Lenin conobbe Josef Stalin ne rimase colpito, anche se non del tutto convinto: Stalin non era russo, ma georgiano. Non parlò mai perfettamente russo, Lenin alludeva a lui come “quello strano tipo georgiano”. La Georgia faceva parte dell’impero zarista, fu accolta per amore o per forza tra le Repubbliche socialiste sovietiche, ma il suo è un popolo a parte e usa una lingua, e perfino una scrittura, diverse da tutte le altre al mondo.
“Il mio Paese ha imboccato una strada che la porterà via dall’Europa e definitivamente nelle mani della Russia. Prego affinché l’Europa agisca subito perché siamo sull’orlo della catastrofe”, ha scritto dalla prigione in cui sopravvive dopo un pesante sciopero della fame l’ex Presidente della Georgia Michail Saakashvili, che resistette all’invasione russa dell’agosto 2008. Fu, allora e in Italia, uno scandalo passato quasi sotto silenzio, complice la calura e la miopia politica di tutti i partiti. Assistevamo indifferenti, sedici anni fa, alla prima invasione di uno Stato indipendente da parte di un altro Stato.
La minaccia
Vladimir Putin era famoso soltanto per la brutalità usata nel reprimere le rivolte cecene, ma nessuno avrebbe immaginato – allora – che potesse far uscire dai confini russi le sue armate. Furono convocate in fretta e furia le Commissioni Esteri e Difesa nella Sala del Mappamondo e furono pronunciate distratte parole di condanna. Ricordo che Pierferdinando Casini fu un po’ più appassionato, ma faceva caldo e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si schierò con Putin e fu il momento della mia rottura con lui. Disse: “Mi ha detto il mio amico Vladimir (Putin) che fra pochi giorni inchioderà per le palle a un albero il presidente georgiano Saakashvili”.
Lasciai la seduta e dichiarai pubblicamente il mio totale dissenso e lo scandalo perché nessuno aveva intenzione di fare qualcosa di fronte all’invasione di uno Stato europeo sa parte di un altro Stato Europeo, la prima dopo quella del 1939 quando le armate di Hitler (il primo settembre) e quelle di Stalin (il 17 settembre) invasero e si spartirono la Polonia, 49 per cento ai tedeschi e 51 ai sovietici. Essendo stato Presidente di una Commissione bicamerale d’Inchiesta sugli agenti sovietici in Italia, avevo visto assassinare tutti i miei informatori, da Alexander Litvinenko avvelenato a Londra col Polonio al generale Trofimov e sua moglie e tanti altri.
Putin non riuscì ad inchiodare per le palle Michail Saakashvili e Michail venne a Roma per ringraziarmi e invitarmi a Tbilisi. Lo festeggiammo all’hotel Plaza con amici liberali e rientrò in Georgia fino alla fine del suo mandato. Poi andò a vivere a Odessa, avendo anche la cittadinanza ucraina, ma commise l’errore di tornare a Tblisi dove fu arrestato dai filorussi al potere e sbattuto in una segreta in cui sopravvive in condizioni di salute che fanno temere per la sua vita. Volodymyr Zelensky, presidente ucraino e suo amico, si è rivolto all’Unione Europea e agli Stati Uniti per ottenerne il rilascio, ma senza effetto.
L’appello per la Georgia
Ieri Michail ha affidato al suo legale un appello all’Unione Europea e a tutti i Paesi democratici chiedendo di aiutare la Georgia a non farsi inghiottire nel gorgo russo. Putin sta divorando la Georgia con la lentezza di un pitone: dopo la prima invasione favorita dai soliti falsi filorussi perseguitati ma assistiti da reparti russi armati e senza insegne, ha occupato vaste zone dell’Ossezia e da lì esercita una pressione intimidatoria che ha dato i suoi frutti: oggi il governo di Tblisi è filorusso e l’approvazione della legge che mette di fatto al bando gli aiuti europei è un colpo terribile per la Georgia e una nuova vittoria di Putin. Ieri gli uffici di Bruxelles hanno accolto la notizia dell’approvazione della “legge russa” con amarezza: è un atto che allontana la Georgia dalla realizzazione del suo sogno europeo e che la spinge verso una totale annessione alla Russia.
Portatrici di interessi
Ieri la capitale della Georgia era alle barricate per il terzo giorno, barricate erette dai manifestanti e poi distrutte dalla polizia, oggi filorussa, con cannoni ad acqua e assalti con violenti corpo a corpo. I cittadini di Tblisi sono furiosi per la legge appena approvata dal Parlamento fra urla pugni, schiaffi e incessanti tumulti. La legge è nota col nomignolo di “legge russa”, perché è la fotocopia di una legge imposta da Putin nel suo Paese. È una legge che sottopone a un regime di polizia tutte le associazioni, partiti o aziende che ricevano donazioni o sostegni dall’estero per più del 20 per cento. Queste associazioni (che vivono proprio dei contributi europei e americani) sono da oggi obbligate a registrarsi su un registro infamante come “portatrici di interessi di una potenza straniera”. L’espressione “portatrici di interessi di una potenza straniera” è la premessa per qualsiasi azione repressiva e di fatto segna la fine dei rapporti con l’Unione Europea alla cui porta e fin dal 2008, la Georgia invasa dall’esercito russo bussa chiedendo disperatamente di entrare. Da ieri le speranze si sono estinte mentre la disperazione spinge i georgiani alla rivolta.
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