Le proteste a Tbilisi
Georgia in piazza per la libertà, ma l’Unione Europea è distratta e disinteressata

La Georgia è percepita dagli europei come una realtà anche più remota dell’Ucraina. Una vaga entità asiatica il cui esotismo non è revocato neppure dalla comunanza cristiana, lì resa intangibile da un culto arcaico e auto-conchiuso che, se possibile, ha semmai diminuito il contatto europeo con quella terra. Eppure da qualche settimana, senza che se ne accorga l’Europa intestardita a non riconoscersi a Est di Vienna, in Georgia si decide per un passo di sviluppo o invece di recessione della civiltà europea: è lì che si decide per il diritto di un paese di determinarsi secondo criteri di libertà e democratici, o invece per la sua subordinazione a istanze nazionalistiche istigate dalla stessa intromissione imperiale che due anni e mezzo fa scatenava l’operazione speciale per mettere “gente perbene” al posto dei drogati e degli omosessuali di Kiev.
Un’Europa anche più disinteressata rispetto a com’era durante l’Euromaidan ucraino e, da noi, una scena parlamentare e dell’informazione divisa tra la ricerca del fascismo nei soprammobili del presidente del Senato e la manutenzione del ceppo italico assediato dagli attentati gender fluid, fanno il loro pacifico corso mentre a Tbilisi va in scena la più spettacolare e drammatica sollevazione civile a fronte di un’ipotesi di legge liberticida che appare a molti come l’annuncio di un cupo restringimento autoritario. Decine di migliaia di georgiani protestano contro questo tentativo di “riforma” puntellato da Sogno Georgiano, il partito di governo di origine oligarchica ormai apertamente filo-russo: una normativa rivolta a richiudere il paese in una gabbia di censura, di controllo politico individuale e collettivo che – con il pretesto di proteggersi dagli “agenti stranieri” – affida all’arbitrio di un potere invasivo l’attività economica, di associazione e di intervento sociale di una potenzialmente innumerevole quantità di operatori. Tra i quali, ovviamente, quelli dell’informazione e della cooperazione, più capaci di attentare alla stabilità di un consenso di agognata irreggimentazione.
Non smuove il tenore sostanzialmente disinteressato delle nostre opinioni pubbliche – indiscutibilmente poco colpevoli, visto il tipo di informazione che ne alimenta le consapevolezze – il fatto che le proteste in Georgia siano affidate alle cure di un presidio poliziesco non propriamente paragonabile a quello che da settimane finisce in prima pagina e nelle indignazioni parlamentari di casa nostra. Quest’ultimo magari punteggiato di qualche episodico e poco commendevole eccesso, ma sicuramente ben lontano dalla sistematica violenza delle forze di sicurezza e degli squadristi sguinzagliati contro i manifestanti georgiani. Né – altro “dettaglio” incredibilmente trascurato – fa impressione che siano bardate di bandiere europee le manifestazioni in Georgia: a dimostrazione esemplare che è quel pericolo, l’Europa, il vero “agente straniero” contro cui lavorano i progetti di riforma messi in campo dall’isolazionismo equivicino a Est. Il sangue che esce dalle teste spaccate dei georgiani impregna la bandiera dell’Europa, lo stesso segno che stava su un portachiavi tra le dita di un cadavere su una strada di Bucha, in Ucraina, due anni fa.
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