Scienza del vivere
La letteratura non è solo evasione, i libri definiscono la realtà
Negli articoli che scrivo per il Riformista tento di suggerire un uso etico-conoscitivo delle opere letterarie. Vorrei ragionarci sopra. A me sembra il modo migliore di usarle, anche rischiando a volte un eccesso di attualizzazione. So bene che Dante è “attuale” proprio perché “inattuale”, perché resta comunque un uomo del Medioevo, ben radicato nella metafisica tomista, e perciò capace di interrogarci a partire da una alterità non interamente riassorbibile. Però la letteratura esiste per essere “collaudata”: occorre metterla alla prova come forma di conoscenza, anche scoprendo la relazione che può avere con discipline da lei distanti, come il diritto, l’economia e perfino il management, come accade negli Stati Uniti.
Prendiamo Martha Nussbaum, autrice prolifica e un tantino noiosa, ma fondamentale per capire il nesso tra letteratura e diritto. Forse per prima ha postulato l’importanza dell’immaginazione letteraria nel discorso pubblico come immaginazione empatica, compassionevole, e cioè capacità di immedesimarsi in altri. In particolare per quanto riguarda il diritto usa Dickens come satira della mentalità utilitaristica. In L’intelligenza delle emozioni (Il Mulino 2004) ci invita esplicitamene a considerare le emozioni come giudizi di valore, dipendenti sia dal loro oggetto e sia dalle nostre credenze. Non sono correnti marine (Seneca) ma componenti del ragionamento etico. Così la pensa il filosofo Hilary Putnam, il quale ha scritto che la grandezza del Viaggio al termine della notte di Céline non sta tanto nel convincerci che il mondo è un girone infernale, ma nel mostrarci con esattezza come vive chi la pensa in quel modo.
Letteratura come identificazione con l’altro, e dunque “scienza” (benché atipica) delle relazioni tra idee e comportamenti. L’iperstrutturalista Todorov dice di aver avuto una rivelazione quando l’anziano Isaiah Berlin gli spiegò a Cambridge che la letteratura non è solo una funzione del linguaggio ma rapporto con la realtà Per Putnam a stabilire la verità o falsità di un enunciato concorrono non solo fatti linguistici ma anche dei fatti oggettivi. La verità nasce da un accordo su cosa intendere per “reale”. E così scongiura il rischio di “perdere” il mondo. L’idea è che la verità, benché non definibile (impossibile trovarle o una “proprietà” che resti costante in ogni situazione) però indica comunque qualcosa che “fa resistenza alle nostre teorizzazioni limitandone l’arbitrarietà”. E qui torniamo alla letteratura.
La verità che incontriamo nei romanzi, per quanto non scientifica, per quanto sempre necessariamente ambigua, arricchisce la nostra conoscenza del mondo, mostrandoci idee sempre “in situazione” Gli scrittori ricreano continuamente la realtà (la “inventano”, diceva Carlo Levi), ma rispecchiandone qualche lato fino a quel momento in ombra. Sempre Martha Nussbaum nel Giudizio del poeta (Feltrinelli 1996) ci presenta la letteratura come componente essenziale dell’argomentazione razionale. Si potrebbe equiparare a una telecamera mentale che ci permette di vedere altri mondi, di viverci dentro per un periodo, senza peraltro intossicarci come fanno le droghe. Temo però che questo suo immenso potenziale conoscitivo sia divenuto obsoleto.
Segnalo in proposito come apologo morale una puntata di “South park”, popolare serie tv di comics (il lato cattivo dei Simpson: protagonisti sono quattro ragazzini in una cittadina immaginaria del Colorado) che dimostra tra l’altro la vitalità della cultura americana, la sua capacità di rispecchiare in modo trasparente, e con raro equilibrio, i principali dilemmi della nostra società. A volte accade che la cultura di massa produca i suoi stessi anticorpi. In una puntata i protagonisti della serie, compagni di scuola, devono preparare nel week-end una relazione sul Vecchio e il mare di Hemingway. Ma non gli va di leggere il romanzo e allora ingaggiano dei poveri immigrati messicani per affidargli a pagamento il compito. Questi leggono il romanzo e si commuovono fino alle lacrime, Poi il lunedì mattina ne riferiranno ai ragazzini…Così ci avviamo verso un mondo dove la letteratura, l’arte, la nostra tradizione umanistica, che non abbiamo più tempo e voglia di coltivare, saranno frequentate dietro compenso solo dai migranti e dai paria dell’umanità! Vi sembra un destino verosimile? A me sì.
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