Giampaolo Cadalanu, a lungo inviato speciale di Repubblica nel mondo arabo, in Medio Oriente e in Africa, ha studiato sul campo le evoluzioni della Libia. Da quando, era il 20 ottobre 2011, Muammar Gheddafi veniva catturato e ucciso. Al Riformista racconta i retroscena che ha ricostruito sulla fine del regime del Colonnello e traccia una prospettiva sugli avamposti che Russia e Turchia hanno conquistato. Il suo volume “Sotto la sabbia”, uscito con Laterza, sta già facendo discutere.

Il tuo libro accende un faro sulla nostra vicina più complessa, la Libia.
«Volevo sottolineare soprattutto che nel nostro rapporto con la Libia, anche recente, ci sono state luci ed ombre. L’intervento che ha portato alla guerra a Gheddafi è stato condotto sulla scorta di bugie colossali, autentiche fake news usate per dare il via ai bombardamenti occidentali nel 2011».

Hai fatto un lavoro di inchiesta sul terreno e con fonti documentali…
«Credo ancora che per scrivere bisogna stare sul posto, vedere con i propri occhi e parlare con tutte le fonti possibili. Ma in questo caso bastavano anche le sole fonti aperte: ci era stato detto che in Cirenaica avvenivano massacri indicibili, non era vero. Certo, Gheddafi governava con il pugno di ferro, ma a certe latitudini non deve sorprendere. Quei massacri erano stati inventati, così come era stato per la “Smocking gun” dell’Iraq. Bugie colossali inventate per giustificare le operazioni militari».

L’esito è stato una guerra civile permanente che ci restituisce una Libia spaccata in due fazioni insanabili.
«Chi ha partecipato poi a spolpare i resti della Libia di Gheddafi lo ha fatto per prendersi una fetta delle risorse petrolifere e ai giacimenti minerari e di gas. La tutela della popolazione libica è un tema che non interessa a nessuno. Il Guardian a suo tempo fece una valutazione: con l’intervento occidentale sono morte dieci volte le persone che sarebbero morte perdurando la presidenza di Gheddafi».

Churchill diceva: le nazioni non hanno amici ma interessi.
«E la dimostrazione c’è anche nelle vicende libiche. Ma anche gli interessi devono poter guardare avanti. Devono avere una strategia. La Libia è stata consegnata al caos».

Ed è diventata terreno di conquista turca e russa. Mentre l’Europa si è spaccata in due…
«La Francia aveva messo gli occhi sui contratti del gas che prima erano in mani italiane, riuscendoci in parte. Nel libro parlo di come l’Italia è stata trascinata in una guerra che il governo Berlusconi non voleva, ma che è stato costretto ad accettare. Finendo per agevolare la Russia che si è reinsediata sulle rive del Mediterraneo – cosa che oggi gli torna utilissima, avendo perso la Siria – e il ritorno della Turchia, che ambiva a riecheggiare l’espansione dell’Impero Ottomano».

Potevamo agire diversamente, all’epoca?
«Il governo di Serraj chiese un intervento militare strutturato all’Italia, che i governi italiani dell’epoca hanno negato. Erdogan è corso in aiuto a Serraj, ed ecco il risultato».

La Libia è un corridoio tra Africa ed Europa. Tanto che la nuova Wagner nera agisce come rubinetto che regola i flussi migratori verso l’Italia, attraverso la Libia. Un passaggio che forse ci parla anche della strategicità di Almasri.
«Credo che la presenza della Wagner serva tuttora per tenere d’occhio i rubinetti dell’energia, più e prima che quelli dei migranti. Se aumentano i prezzi di gas e petrolio, la Russia miete miliardi.
Per i migranti è vero, ma in misura minore. Il ricatto migratorio è dovuto a quella che io considero una isteria sulla cosiddetta minaccia della migrazione illegale. I migranti dall’Africa, e io ho parlato con centinaia di loro, sognano di rimanere nelle loro terre o di farvi ritorno il prima possibile».

Dobbiamo riarmare la Difesa europea. Preoccupandoci anche dei porti russi in Libia?
«Da recenti controlli sono emerse attività navali che interessano cargo russi che trasportano, o meglio potrebbero trasportare, veicoli militari. Per il momento però il Mediterraneo è presidiato dalla Nato, il cui peso non è ancora venuto meno».

Cosa suggeriresti, da analista del Mediterraneo, per metterlo in sicurezza?
«L’Europa deve recuperare, tutta insieme, il suo spazio, il suo potere».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.