Una commissione del Comune di Milano suggerisce di non collocare in uno spazio pubblico la statua di una donna che allatta, scolpita da una scultrice recentemente scomparsa, donata alla città dalla sua famiglia, perché “rappresenta valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, tali da scoraggiarne l’inserimento nello spazio pubblico”, suggerendo alla famiglia di donare la statua a “un istituto privato, ad esempio un ospedale o un istituto religioso, all’interno del quale sia maggiormente valorizzato il tema della maternità, qui espresso con delle sfumature squisitamente religiose”.

Fortunatamente, il Sindaco di Milano Beppe Sala ha sconfessato la scelta della commissione, affermando: “Chiederò di riesaminare il parere. È una forzatura sostenere che non risponda a una sensibilità universale”. Il sindaco propone di collocare la statua nei giardini della clinica ostetrica pubblica Mangiagalli, dove sono nati migliaia di milanesi. Bene così: non facciamoci del male con il politically correct. Questo episodio è paradigmatico di un certo modo di intendere il femminismo, l’arte e la religione. Un femminismo “estremo” suggerisce che sia pericoloso valorizzare nelle donne i ruoli tradizionali, perché si rischia di relegarle negli spazi domestici. Andrebbe piuttosto rappresentata la loro “conquista” degli spazi pubblici.

A questo si aggiunge l’idea che rappresentare la maternità potrebbe urtare le donne che, per scelta o costrizione, non sono madri. Un po’ quel che accade quando, per rispetto degli orfani e delle famiglie omogenitoriali, nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie non si celebra la festa della mamma o del papà, per rispetto degli islamici non si celebra il Natale, per rispetto dei cristiani, nelle scuole con molti bambini islamici, non si celebra il Ramadam.

Quanto alla religione, ci sono decine e decine di opere che rappresentano la Madonna che allatta il figlio, ad esempio quella magnifica restaurata di recente di Tiziano Vecellio, esposta nella chiesa madre di Pieve di Cadore, dove il grande pittore cadorino rappresenta nella Madonna che allatta la figlia Lavinia.

Quello che interessava agli artisti è rappresentare il legame intimo che si crea fra madre e bambino durante l’allattamento: era proprio questo particolare rapporto fra mamma e figlio, ben noto a chiunque guardasse il quadro, a venire utilizzato per contemplare il legame fra Gesù e sua madre. Non viceversa!

L’allattamento è un momento pienamente condiviso e rispettato da tutti, e rimpianto da molte donne che – per motivi vari – non lo hanno vissuto, ma che non credo si sentano ferite dalla rappresentazione di una mamma che allatta il suo bambino. Inoltre, l’allattamento è caldamente consigliato da tutti i pediatri, perché è importantissimo per la salute del bambino, rifornendolo di anticorpi naturali, tanto che in Italia la pubblicità di latte in polvere è vietata per legge.

Allattare è salutare anche per la mamma, riducendo il rischio di tumore al seno e alle ovaie e favorendo la perdita del peso accumulato in gravidanza. La statua di una donna che allatta collocata in uno spazio pubblico è un’occasione per ricordare e celebrare tutto questo. È giusto e doveroso celebrare e rappresentare le scienziate, le artiste, le combattenti partigiane e le statiste, capaci di conquistare quello spazio pubblico che per tanti secoli è stato loro negato. Ciò non dovrebbe però escludere di rappresentare anche altri aspetti, in questo caso squisitamente femminili.

La parità di genere non sta nell’annullamento delle differenze. Sarebbe ora di celebrare e rappresentare anche gli uomini che condividono l’impegno negli spazi domestici, nei lavori di casa, nella cura dei bambini e degli anziani. Abbiamo bisogno di aggiungere, non di togliere. Più in generale, l’Italia dovrebbe farsi vanto della sua cultura inclusiva, non facendo proprie le posizioni estreme di cancel culture, che si stanno imponendo in giro per il mondo, in particolare, ma non solo, negli USA. Da un lato, c’è chi – da destra – censura i libri per bambini che non celebrano la famiglia tradizionale (vediamo quanto resistono Paperino e Qui, Quo, Qua…). Dall’altro, da sinistra si censurano alcune opere di Shakespeare, perché ritenute razziste. La scuola e gli spazi pubblici dovrebbero invece rispettare e celebrare la storia.

Mettendo la polvere sotto il tappeto si rovina il pavimento e il tappeto, e la casa resta sporca. Certo, è molto più facile e tranquillizzante togliere e censurare, piuttosto che spiegare e rappresentare in modo corretto quanto è accaduto nel passato, e come le mentalità si sono evolute e modificate. Tuttavia, solo facendo i conti con la sua storia la società attuale può effettivamente progredire. Anche grazie alla collocazione in uno spazio pubblico di una statua di una donna che allatta. (Questo articolo riprende e approfondisce un mio intervento sul “mattino di Padova” dell’8 aprile 2024).

Gianpiero Dalla Zuanna

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