«La separazione delle carriere fra pm e giudici è un finto problema. La separazione ci deve essere fra magistrati bravi e magistrati meno bravi», afferma l’avvocato Ernesto Carbone, dallo scorso febbraio componente laico del Consiglio superiore della magistratura.

Consigliere Carbone, la sua è una provocazione?
«Per nulla. Prendiamo ad esempio un paio di sentenze che hanno fanno discutere l’opinione pubblica nelle ultime settimane. Come dovrebbe essere giudicato il magistrato del Tribunale di Roma secondo il quale se un uomo ‘palpeggia’ una donna per meno di dieci secondi va tutto bene e non c’è violenza? O quello di Firenze che ha spento il wi-fi nelle scuole sostenendo che fa male alla salute ed ha affermato che i vaccini, dopo aver salvato milioni di vite umane, sono pericolosi? La prego, siamo seri».

È favorevole alla responsabilità civile dei magistrati?
«Io penso che chi sbaglia debba pagare ma che non dobbiamo farci trascinare in una sorta di terrore bianco in risposta al giacobinismo di alcuni pm. Sono favorevole ad una responsabilità ‘attenuata’ rispetto agli altri funzionari pubblici. Il magistrato è detentore di uno dei tre poteri dello Stato e deve essere sereno nello svolgimento del proprio lavoro, quanto mai difficile e complesso. Certamente, se l’errore è grossolano e reiterato deve essere sanzionato. Ma soprattutto sanzionato in fretta. Il tema, però, è un altro»
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Quale?
«Un pm che vede cento inchieste finire nel novantanove percento dei casi con una assoluzione o, addirittura, con una archiviazione già nella fase delle indagini preliminari è un problema per il sistema giustizia. Significa che quel magistrato non lavora bene e va dietro a teoremi che non hanno alcun fondamento. Bisogna pur avere il coraggio di dirlo. Non si può continuare a far finta di nulla. Ci si dimentica che una indagine costa centinaia di migliaia di euro di soldi dei contribuenti. Pensiamo soltanto all’attività che viene delegata dai pm alle forze di polizia. Ci sono intercettazioni che durano mesi e mesi e poi non portano a nulla. E se vengono fatte intercettazioni in maniera abusiva nei confronti di un parlamentare che poi non potranno essere utilizzate chi pagherà il conto? È indispensabile procedere con dei correttivi».

A cosa ha pensato?
«Prima di fare il pm bisogna aver fatto per almeno cinque anni il giudice, magari anche in collegio. Oppure, meglio ancora, il gip che è un pilastro del nostro processo penale. Bisogna pensare a come normare questi scambi fra giudicante e requirente. Nessuna separazione delle carriere ma ‘commistione’ delle carriere, se mi passa il termine».

Un bilancio di questi primi mesi al Csm?
«Credo che il Consiglio stia lavorando molto bene. Un po’ per colpa del covid, un po’ per mesi e mesi di prorogatio di chi ci ha preceduto, abbiamo trovato un enorme arretrato. Faccio parte della Commissione per gli incarichi direttivi e stiamo imprimendo una grande accelerazione ai lavori. C’erano pratiche incagliate da tantissimo tempo e uffici senza un capo da anni. Noi siamo anche quelli che hanno rinunciato alla ‘settimana bianca’ (ultima settimana del mese in cui i lavori al Csm sono sospesi, ndr) su richiesta del vice presidente Fabio Pinelli per smaltire l’arretrato».

Argomento incandescente: le correnti in magistratura. Male assoluto?
«Le correnti esistono perché esiste l’Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe a cui è iscritto il novanta percento di esse. E mi creda, non voglio fare polemiche. Anzi. Io non mi scandalizzo se il presidente dell’Anm o di una delle correnti che la compongono interviene su un provvedimento del governo: è normale dialettica fra poteri dello Stato. In tale ottica, però, un politico deve essere legittimato a criticare una sentenza o l’operato di un magistrato. L’importante è che non ci sia confusione fra poteri. Il magistrato è chiamato ad applicare le leggi ed il Parlamento ha il compito di scriverle. Punto».

E la lottizzazione all’interno del Csm?
«Il sistema elettorale dei togati del Csm obbliga i magistrati ad organizzarsi per essere eletti. L’alternativa sarebbe il sorteggio, soluzione apparentemente risolutoria alla quale sono contrario. Discutiamo pure eventualmente di sistemi elettorali, maggioritario o proporzionale, ma certamente non il sorteggio. Il Csm, oltre ad essere un organo di rilevanza costituzionale, è pur sempre l’organo di auto governo della magistratura e trovo giusto che siano i magistrati a sceglierne i membri e quindi i loro rappresentanti. Per fare un paragone sarebbe come se uno dicesse che il Parlamento non lavora bene, presenta criticità, e quindi come miglior rimedio proponesse di estrarre a sorte tra gli italiani chi debba sedersi in Senato o alla Camera».

Torniamo alle correnti…
«Sì. Se le correnti sono forti e rappresentano – veramente – tutta la magistratura sono un bene. L’eccessivo potere di alcuni magistrati in questi anni è stato dovuto non alle correnti ma alla loro debolezza. A me cittadino piace sapere chi ho di fronte. Sensibilità culturali diverse fra i magistrati sono un fatto positivo ma sempre nel rispetto della legge che non deve essere piegata per interessi di parte.

Non cambierebbe nulla?
«Se gli accordi vengono fatti con una logica meritocratica, personalmente non ci trovo nulla di sbagliato. In Plenum siamo trentadue e se io ritengo che il dottor Rossi sia più adatto a ricoprire un determinato rispetto al dottor Bianchi proverò a convincere i miei colleghi della bontà di questa scelta. E la volta successiva sarà il mio collega, laico o togato che sia, a persuadermi della sua. Cosa ben diversa sono gli accordi fatti solo per appartenenza correntizia. Quelli sono la mortificazione della magistratura».

Ha visto le polemiche sul voto del vicepresidente Pinelli per il procuratore di Firenze?
«Come ha detto l’amico consigliere Roberto Romboli, docente di diritto costituzionale, il vicepresidente è espressione del Parlamento: votare non è un suo diritto, ma un suo dovere. A volte la stampa, per fare dietrologia, fa finta di non capire o non riporta le notizie in modo completo. Sulla scelta del procuratore di Firenze c’erano più proposte e alla fine ha vinto il dottor Filippo Spezia per un voto di scarto. Nessuno ha scritto che il giorno dopo, il dottor Ettore Squillace Greco, l’altro candidato, era stato votato all’unanimità procuratore generale di Firenze. Un incarico ancora più importante, dovendo sovraintendere a tutte le attività inquirenti del distretto e con la possibilità di avocare le indagini nei casi previsti dalla legge. Sono entrambe scelte legittime del Plenum e non ci vedo nulla di scandaloso».

Anche questo Consiglio è alle prese con le mitiche chat di Luca Palamara.
«Ma lasciamocele alle spalle una volta per tutte queste chat! Non mi fanno appassionare, lo dico senza problemi. Premesso che risalgono al biennio 2017-18, sono state lette e rilette mille volte con discussioni interminabili durate settimane intere. Alcune di queste chat sono finite in Procura e ci sono inchieste in corso, altre sono finite invece alla sezione disciplinare e sono state valutate dai miei colleghi. Continuare quindi dopo tutti questi anni a discutere delle chat fa male solo alla magistratura, non a Palamara. E posso dirlo io che questo signore non l’ho mai visto e né incontrato in vita mia».

Le chat, però, sono state micidiali per il dottor Emilio Sirianni, non confermato nell’incarico di presidente di sezione a Catanzaro.
«È un caso molto diverso. Sirianni parlava con un indagato poi condannato a 13 anni e 2 mesi di prigione, l’allora sindaco di Riace Mimmo Lucano, e soprattutto attaccava i carabinieri ed il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Tralasciando il linguaggio colorito, per usure un eufemismo, non si può definire “fascista” e “sbirro” chi quotidianamente in quella regione martoriata sacrifica e rischia la propria vita per la giustizia».

È favorevole all’eliminazione del reato di abuso d’ufficio?
«Abolirlo? Non lo so, spetta al Parlamento. Rimane comunque il fatto che le assoluzioni superano il novantanove percento dei casi (su 5000 procedimenti, 9 condanne). Andrebbe sicuramente riscritto e meglio tipizzato per evitare dubbi interpretativi che possano lasciare ampio margine di discrezionalità. Evitiamo ‘abusi’ dell’abuso d’ufficio».

Si parla sempre di reati…
«Ecco, appunto. Siamo troppo concentrati sul processo penale. A me farebbe piacerebbe che si potesse discutere anche di giustizia civile. Ma sa quanti investimenti perdiamo per i processi civili troppo lunghi? Il cittadino non può aspettare anni e anni per un suo diritto. Penso al settore fallimentare dove sono in ballo posti di lavoro. E poi riflettiamo anche sul carico enorme che hanno i magistrati in Cassazione. Sarebbe interessante affrontare ogni tanto questi temi e non solo quelli che riguardano le Procure della Repubblica».

Cosa fare nell’immediato?
«Ad esempio, con la riforma Cartabia alcune competenze riservate ai giudici sono state deferite ai notai. Mi riferisco alle autorizzazioni al compimento degli atti negoziali di minori e incapaci rilasciate in sede di volontaria giurisdizione, prima riservate in via esclusiva al giudice tutelare. Ciò è sensato se pensiamo che poi sarà il notaio a stipulare l’atto. La riforma sta funzionando egregiamente, alleggerendo il pesante carico di lavoro della magistratura. Lo stesso si potrebbe fare allora con tutti i provvedimenti di volontaria giurisdizione, così come con le omologhe per gli accordi in sede di separazione e divorzio. Oggi l’accordo tra i coniugi, per divenire efficace e vincolante, necessita dell’omologa del giudice. Il notaio, in quanto pubblico ufficiale, si trova in una posizione di terzietà ed esercita un potere dello Stato e già svolge analoghe funzioni in altri ambiti. Può dunque assolvere a tali compiti adesso riservati in via esclusiva alla magistratura. Si ridurrebbero i tempi di procedimento in quanto si salterebbe il passaggio davanti giudice che potrebbe in questo modo dedicarsi ad altre attività».

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Giornalista professionista, romano, scrive di giustizia e carcere