Stamani arriva a Palazzo Chigi il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. Anche Roma, come le altre capitali europee, rientra nel tour istituzionale di fine mandato. Una serie di bilaterali con doppio obiettivo: sondare il gradimento per i futuri incarichi e annusare l’aria sul dopo voto. Si chiamano “consultazioni informali sui Top Job”, sorta di agenda per la nuova Commissione. Si vota, come è noto, tra il 6 e il 9 giugno. L’intenzione, visto il quadro geopolitico, è di avere un iter post voto più celere. E anziché arrivare a novembre, sarebbe opportuno avere maggioranza, Commissione e tutte le altre caselle già assegnate prima del voto americano (primo martedì di novembre).

Da qui l’importanza di questi e di altri bilaterali nelle varie cancellerie: si sta decidendo il futuro dell’Europa che verrà, un’Europa che dovrà cambiare per sostenere le numerose sfide, soprattutto economiche, di politica estera e legate alla difesa. Vedremo oggi cosa filtrerà dal bilaterale a Palazzo Chigi. Sappiamo già che nelle precedenti consultazioni informali sui Top Job Michel sta sentendo spesso, da numerosi leader, avanzare il nome di Mario Draghi per un incarico chiave a Bruxelles, Commissione o Consiglio. “Capisce l’economia. È competente. Ha una visione. Diversi capi di stato e di governo hanno fatto il nome di Draghi. È una possibilità” si legge in vari report e resoconti di queste consultazioni.

La domanda è se anche Giorgia Meloni ha intenzione di appoggiare questa ipotesi che circola da qualche mese e che fu messa sul tavolo, per primo, da Emmanuel Macron a dicembre scorso. Il ruolo dell’Italia e di Meloni è decisivo in questa partita nell’ipotesi, sempre più probabile, che i Conservatori possano entrare in maggioranza. Prima di procedere in questo scenario, occorre dare un’occhiata agli ultimi sondaggi/proiezioni sui seggi europei (fonte Politico.eu). I membri dell’Europarlamento sono 720, la maggioranza scatta a 361 seggi ed esperienza insegna che per governare in tranquillità, al riparo di franchi tiratori e mal di pancia vari, servono almeno 400 seggi. La maggioranza uscente è formata da Popolari (Ppe), Socialisti e democratici (S&D), liberali-macroniani (Renew Europe), Verdi (45) più altri voti sparsi nel gruppo cosiddetto misto. Le stime attuali garantirebbero alla maggioranza uscente 439 voti. Blindata, sembrerebbe. Le destre europee sono spaccate: i Conservatori (cioè Meloni) sono stimati a 76 seggi, Identità e democrazia (Salvini e Lepen) a 87 più una dozzina di seggi degli ungheresi di Fidesz (il partito di Orban). Salvo rivoluzioni, che possono arrivare solo dall’Italia dove i Fratelli d’Italia aumenteranno e di molto la loro presenza in Europa, Ecr, Id e Popolari si fermano tra i 350 e i 360. Troppo poco per governare.

Le destre lavorano per crescere e portare i Popolari nella “loro” maggioranza. I Conservatori, a cominciare dalla loro presidente Giorgia Meloni, dicono: “Cambieremo la maggioranza in Europa con i Popolari, mai con i Socialisti, forse Lepen e quindi Salvini”. La partita è tutta qui. Ed è meglio di una finale di Champions. O di una finale a Wimbledon. Fatta questa lunga premessa, torniamo ai bilaterali e agli scenari. Mario Draghi, quindi. A giugno, dopo le elezioni, l’ex premier e presidente della Bce, consegnerà il suo studio sul “Futuro della competitività europea”. Glielo ha commissionato Ursula von der Leyen a settembre 2023. In questi mesi Draghi ha incontrato governi, ministri, eletti europei e locali, investitori, associazioni di imprenditori e sindacati. Non è mai uscita mezza riga della bozza finale.

Ma in vari convegni e speech pubblici Draghi non ha fatto mistero di quella che è la sua analisi e la sua ricetta. Lo ha fatto anche martedì a New York ricevendo il prestigioso premio dell’American Academy in Berlin al Metropolitan Museum of Art di New York. L’Europa, ha spiegato, deve affrontare molte sfide per preservare la sua prosperità e indipendenza e nel farlo non deve “perdere di vista” che il suo futuro è costruito sulla sua unità. Questo significa anche una “politica economica estera che affronti le vulnerabilità con un’unica strategia, sia rimuovendo internamente le barriere che limitano il nostro potenziale sia garantendo esternamente le risorse a cui nessun paese europeo può accedere da solo”. Il numero e l’importanza dei cambiamenti che l’Europa “deve intraprendere per preservare la sua prosperità e la sua indipendenza – ha continuato – sono senza precedenti nella storia dell’Unione che, a sua volta, è senza precedenti ed ha contribuito al più lungo periodo di pace nel nostro continente”. Nel nuovo mondo frammentato “l’Europa è divenuta strategicamente ed economicamente più vulnerabile. In un mondo in cui l’economia è sempre più usata come arma geopolitica, l’apertura dell’Europa è divenuta una vulnerabilità strategica. Ci troviamo ad affrontare minacce fisiche, che non abbiamo la capacità militare e la sicurezza per contrastare”.

Ecco perché, ha concluso l’ex premier, deve “aumentare la nostra capacità di difesa riducendo la costosa frammentazione della spesa europea”. Mettendo in fila questo ed altri interventi, ne esce una visione chiara di uno “Stato europeo” che deve “migliorare i propri strumenti di governance” e “condividere alcuni capitoli irrinunciabili”: bilancio, economia, difesa, politica estera. In poche parole: debito europeo per finanziare i beni pubblici europei. Stati uniti d’Europa: se non ora – con la pressione cinese in salita e il rischio isolazionismo Usa con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca – quando? Un minuto dopo potrebbe essere troppo tardi. Inutile dire che la ricetta Draghi (“sarà il pilastro di riferimento della mia politica economica nei prossimi cinque anni” ha detto von der Leyen candidandosi al bis) risulta molto divisiva. Non c’è dubbio che la Ue ha urgente bisogno di un nuovo modello economico per restare competitiva. Ed essere sicura. Meloni, i Fratelli d’Italia, lo stesso Tajani, nell’ultima settimana sembrano aver preso progressivamente le distanze dalla loro spitzenkandidaten Ursula. L’ipotesi di un tecnico per rifondare l’Europa si sta facendo largo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.