La parola agli europei, tra due mesi esatti. Nessun dubbio che saranno le elezioni europee più importanti da quando il Parlamento europeo viene eletto a suffragio universale, cioè dal 1979. Ma qual è esattamente la posta in gioco? Qui bisogna intendersi.
Capire come stanno le cose al di là dei luoghi comuni, della propaganda, degli umori. Arriva ora un libro (“Nazione Europa”, Piemme, pagg. 172) che dà delle risposte importanti, l’ha scritto Claudio Tito, corrispondente da Bruxelles di Repubblica, un giornalista che unisce la competenza specifica ad una lunga consuetudine con la politica italiana. La tesi è tutta nel sottotitolo: «Perché la ricetta sovranista è destinata alla sconfitta».

Appunto, procedendo verso la Nazione Europa. Le previsioni più ragionevoli già dicono questo, il che non significa ignorare il fenomeno dell’estrema destra in Germania, nei paesi dell’est europeo, in Francia. Eccola dunque la posta in gioco: creare le condizioni politiche perché l’edificio europeo resti in piedi e dunque in grado di giocare un ruolo da protagonista nel nuovo disordine mondiale. Compito difficilissimo. C’è il «rischio di una decadenza del Vecchio Continente», scrive Tito, dinanzi all’egemonia cinese, ai venti di guerra, al possibile ritorno di Donald Trump. Ma ci sono anche dei punti fermi ai quali osservatori e i politici dovrebbero dedicare maggiore attenzione. Scrive il giornalista di Repubblica: «Il modello proporzionale non permette sensibili stravolgimenti rispetto agli attuali assetti. A meno di eventi particolarmente inaspettati, i due partiti principali rimarranno il Ppe e il Paese.

Saranno di gran lunga i soggetti con il maggior numero di eletti. Senza di loro difficilmente nascerà una maggioranza», il che vuol dire che la/il presidente della Commissione che verrà eletta “tenendo conto del risultato elettorale” sarà espressa dai popolari. Che poi la spunti Ursula von der Leyen, indicata non senza contrasti dal recente congresso del Ppe, è tutto da vedere: è nota la contrarietà di Emmanuel Macron, leader di Renew Europe, la terza gamba della maggioranza attuale, e senza il sì della Francia tutto si complica. «La/il presidente della Commissione – spiega ancora Tito – ha bisogno di almeno 361 voti per farsi eleggere, una quota irraggiungibile senza l’apporto di popolari e socialisti» e dunque bisogna sgombrare il campo da una chiacchiera: «Non esiste una possibilità pratica che nasca una maggioranza di popolari e Erc, i Conservatori, di cui fa parte Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni».

Naturalmente Tito sa bene che le cose in politica non soni mai così lisce. E ritorniamo alla questione-von der Leyen: l’Europa, il suo establishment, le sue classi dirigenti a vari livelli hanno il terrore di finire nella tenaglia Trump-Putin (con la Cina dietro). Difficile in quel contesto reggere il timone di una barchetta come l’Unione europea: ecco perché qualcuno ipotizza una soluzione ritenuta la più autorevole possibile, quella di Mario Draghi. Come fu per l’Italia così potrebbe essere per l’Europa. Se è solo una bella suggestione lo vedremo presto. Quello che è certo– lo scrive Paolo Gentiloni nell’introduzione – «è che in discussione c’è forse un pezzo della cultura democratica», cioè la premessa di ogni speranza di evitare il declino europeo.