Nell’ultimo mese, in libreria, accanto agli strilli sulle fascette degli ennesimi acclamati romanzi di autofiction – che pur non sono Limonov di Carrére e nei quali il tedio si mescola al logoramento delle pagine dalla salsedine – è comparso a più riprese il nome di un autore fino a oggi semisconosciuto ai più. Si tratta di Carlo Coccioli, scrittore livornese, scomparso nel 2003, del quale si contano più di quaranta libri, scritti in tre lingue, italiano, francese e spagnolo. Nell’anno del centenario della nascita di Coccioli, è stato Alessandro Raveggi, professore alla New York University e studioso, tra gli altri, di Calvino e David Forster Wallace, a raccogliere tutti i frammenti che l’autore ha disseminato in tre Paesi del mondo. Non un saggio, bensì un romanzo di indagine on the road è l’ambizioso progetto di Raveggi, dal titolo Grande karma, edito da Bompiani, ossia un’avventura biografica che ricalca il già prezioso lavoro di Daniele del Giudice, sulle tracce di Bobi Bazlen ne Lo stadio di Wimbledon, o il più recente e brillante esperimento di Emanuele Trevi in Sogni e favole.

Grande karma è un romanzo polimorfo, un academic book che riflette a latere sulla dimensione baronale dell’Accademia italiana e sulla precarietà della ricerca universitaria. È infatti lo studioso Enrico Capponi, alter-ego di Raveggi, a ripercorrere a ritroso le tappe esistenziali di Coccioli, dal Messico alla Toscana, passando per Parigi, alla ricerca di un fantasma e del suo manoscritto perduto, il Grande karma appunto, romanzo summa di tutte le esperienze mistiche dell’autore. Il sottotitolo, Vite di Coccioli, sperimenta il tentativo di racchiudere le facce del prisma imprendibile di un uomo, il cui imperativo morale è stato quello di essere sempre tutto e il suo contrario. Coccioli l’intellettuale controverso, l’antifascista dichiarato da bambino, in spregio alle barbarie delle gerarchie del regime in Cirenaica e a Tripoli, dove visse con il padre Attilio, sottotenente dei bersaglieri.

Coccioli il partigiano nella III Brigata Rosselli della formazione Giustizia e Libertà, prima di essere catturato dai tedeschi e rinchiuso a Bologna nel carcere di San Giovanni in Monte, dove si fece protagonista di una storica evasione armata. Coccioli che si disse poi liberale, “conservatore di destra” e monarchico, sebbene spiegò, in una lettera al suo mentore, Curzio Malaparte, come la paura dello spettro comunista derivasse dalle presunte proscrizioni ed esecuzioni pubbliche promesse dal Pci, qualora questo avesse vinto le elezioni del ‘48. E poi, Coccioli l’eccentrico religioso, prima cattolico ultraortodosso, poi ebreo, Coccioli-Hare-Krishna e infine buddista. Nonostante la selezione al Premio Strega e al Campiello, e una sua fugace comparsa in Parigi o cara, la raccolta di memorie di Alberto Arbasino, il nome di Coccioli si è dissolto via via con la sua scomparsa. Il carattere settario dell’allora circolo intellettuale italiano, il cui strapotere risiedeva ancora nelle mani di Moravia, accanto a una certa invidia mescolata all’omofobia di Bilenchi e di Piovene, gli valsero la pena più oltraggiosa che uno scrittore potesse subire: il silenzio.

Un’indifferenza durata più di cinquant’anni, nonostante il pregio di una scrittura metafisica che lo consacrò, neanche trentenne, nei salon littéraire parigini più all’avanguardia, seduto tra Cocteau, Mauriac e Gabriel Marcel. Fu amato da Coco Chanel e da Brigitte Bardot, a tal punto da comparire in Svizzera come candidabile al Premio Nobel. In Francia, il suo romanzo cattolico, Il cielo e la terra, raggiunse un così enorme successo di vendite da esser tradotto in più di 15 lingue; ma è Fabrizio Lupo, uscito nel 1952 in Francia (e solo più di 20 anni dopo in Italia!), a produrre il vero scandalo. Il romanzo sulle contraddizioni di una Chiesa inclusiva e bigotta, che reprime l’omosessualità come perversa rispetto alla propria morale, e un Coccioli dissacrante che arriva a ipotizzare la venuta di Cristo omosessuale, insidiandosi nella mente del protagonista per domandarsi: «Perché se Dio è amore, Dio non mi vuole?». Fabrizio Lupo entra, pur non direttamente, anche in Teorema di Pasolini e lo stesso Walter Siti, nella prefazione alla ristampa del 2012, insisterà sull’urgenza di «ripubblicare oggi questo libro monstrum, perché è ancora perfettamente mimetico del mostruoso coacervo di stereotipi che la società ha accumulato sugli omosessuali». Eppure fu Coccioli ad essere accusato di aver indotto diversi ragazzi al suicidio, per quella smania di immedesimazione letteraria, che Foucault inserì nello spettro della follia, ovvero per quel «bovarismo» di de Gaultier, del quale l’autore e il suo “romanzo maledetto” ne hanno pagato le spese per anni, portandolo in Messico.

Tuttavia, l’influenza di Coccioli sulla generazione di scrittori più giovani è oltremodo tangibile in Italia. Pier Vittorio Tondelli aveva raccontato già negli anni Ottanta, negli articoli confluiti in Un weekend postmoderno, di come Coccioli non fosse stato compreso in patria, poiché le sue tematiche religiose, a lungo accusate di manicheismo, fossero scardinate sia rispetto all’estetica neorealista, sia al conseguente sperimentalismo linguistico e formale della letteratura italiana. In seguito alla sua recensione del “diario dei minuti”, il Piccolo karma, il giovane Tondelli riuscì anche a intervistare Coccioli, rimanendo folgorato dalle sue parole: «Come si fa a chiedere a un ragazzo di vent’anni di rinunciare al sesso? È la mortificazione assoluta dell’umano. Come si fa a dire che Cristo è vero uomo se poi tace sulla sessualità?». E si potrebbe addirittura riscontrare una diretta discendenza letteraria di Fabrizio Lupo consegnata alla coscienza di quel ragazzo di provincia, dilaniato da desideri sessuali non conformi ai dettami cattolici, della drammatica scena nel romanzo tondelliano Camere separate, in cui Leo ricorda la sua cittadina natale nel giorno del Venerdì Santo e la statua di quella Madonna portata in processione, il cui peso fisico e morale gli devasterà una spalla.

Il lavoro filologico di Raveggi si situa così in una delle diverse ondate di riscoperta di Coccioli, tentata dall’editore Rusconi e poi da Marsilio, affiancato oggi all’encomiabile lavoro della casa editrice torinese Lindau che sta ristampando buona parte del corpus dell’autore, compresi Uomini in fuga, il testo cardine degli Alcolisti Anonimi, di cui Coccioli ha il merito della fondazione in Italia, e Davide, una riscrittura in chiave autobiografica ma apocrifa del re di Israele. «Lo scrittore assente» vivrà oggi pure una nuova stagione fortunata, ma il Grande karma resterà ancora tristemente introvabile, o forse sarà meglio così.