“It’s only one leg less”. Ricordo quando entrai negli spogliatoi e mi trovai questa frase tatuata sulla nuca di Francesco; era la prima volta che mi capitava di giocare con una persona amputata. Il primo pensiero fu: “Ma questo come fa a giocare con noi che le gambe le abbiamo davvero?”. La meraviglia poi in campo, osservando Francesco. Giocava come, anzi meglio, di noi. Tiri, passaggi, punizioni battute esattamente come noi che di gambe ne avevamo due, il tutto corredato da funambolismi vari fatti utilizzando le stampelle. Una cosa incredibile, davvero, una delle partite che ricordo con più emozione: Francesco è davvero un simbolo vivente di come si possa superare ogni barriera.

Tutto è merito di un fortunato incontro avvenuto nel 2011 tra un ragazzino tredicenne ostinato nel voler giocare a calcio, Francesco Messori, e il CSI, il Centro Sportivo Italiano. Francesco nasce senza la gamba destra ed inizia a giocare all’età di 7 anni nel ruolo di portiere utilizzando la protesi. Crescendo, decide di abbandonare la protesi e la porta perché lui vuole giocare in attacco. E qui arriva il primo ostacolo: Francesco, poiché le stampelle in campo sono considerate pericolose, può solo allenarsi con i normodotati ma non giocare le partite ufficiali. L’incontro con il CSI è provvidenziale per cambiare le regole, e così viene concesso al nostro campione di giocare con tutti gli altri ragazzi nel campionato successivo. Francesco si rende conto che nonostante una integrazione perfetta con la squadra, questa situazione non gli consente di divertirsi pienamente. Inizia così a documentarsi per capire se ci fosse già in Italia qualche squadra di amputati, senza però risultati.

Un altro attore importante di questa bella storia è la mamma di Francesco, che trova il coraggio di scrivere un post su Facebook raccontando il desiderio e la voglia del figlio di poter radunare delle persone amputate con la sua stessa passione per il calcio per poter giocare insieme. L’effetto dei social è ovviamente immediato: il post si diffonde velocemente in tutta Italia, la voce si sparge, qualcuno inizia a contattare la famiglia e in pochi mesi Francesco riesce a dar vita a quella che lui stesso ribattezza Nazionale Italiana Calcio Amputati.
È il 2012, e da lì è tutto un crescendo. Prima l’iter burocratico che porta la Nazionale Amputati ad essere riconosciuta nel 2017 dalla Fispes (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), federazione del Comitato Paralimpico Italiano. Ora l’attesa è quella di passare alla FIGC, la federazione di competenza per tutto il calcio italiano. Il Calcio amputati, in tutto il mondo, è una tipologia di calcio praticato da persone con amputazioni nel corpo: il portiere deve avere due gambe ma una sola mano, mentre gli altri giocatori due mani e una sola gamba.

La federazione internazionale di riferimento è la World Amputee Football Federation (WAFF), a livello europeo è la European Amputee Football Federation (EAFF). Mentre tutto questo iter viene svolto, la Nazionale gioca e ottiene risultati grazie al duro lavoro di tutto il gruppo. Gli ultimi mondiali svoltisi in Turchia nel 2022 hanno davvero visto il mondo intero ritrovarsi su un campo di calcio: dall’Angola all’Uruguay, dall’Uzbekistan all’Iraq. Ben 24 squadre nazionali si sono sfidate e la nostra nazionale, alla sua terza partecipazione dopo 2014 e 2018, ha migliorato il risultato delle precedenti edizioni arrivando fino ai quarti di finale. Ma le soddisfazioni non si fermano qui: lo scorso settembre i nostri ragazzi sono andati in Francia a disputare la Division B della Nations League che abbiamo vinto e che ci consentirà, nella prossima edizione, di sfidare le migliori squadre d’Europa. L’obiettivo sportivo nemmeno troppo nascosto è, ovviamente, quello di riuscire a centrare la qualificazione alle Paralimpiadi ma come sempre avviene nello sport, non sarà affatto semplice. In questi anni la Nazionale Amputati non è stata solo sport: gran parte degli atleti impegnati nella squadra sono costantemente invitati a portare la loro testimonianza di inclusività in tutta Italia.

La storia di Francesco è diventata anche un libro (“Mi chiamano Messi”) per via di una sorta di devozione che Francesco ha nei confronti della Pulce argentina, incontrata due volte nel 2011 a Milano e nel 2014 a Barcellona. Curioso il secondo incontro: nel “ventre” del Camp Nou, al termine di una partita, Francesco incontra Messi che gli fa un autografo sul braccio. Il mattino seguente quell’autografo diventa un tatuaggio. Nel libro il messaggio principale è quello di riuscire a trasformare la propria apparente debolezza e i propri limiti in punti di forza. È quello che prova a fare la Nazionale insieme alle squadre che militano nel campionato ogni anno. Lo sport è in grado di mettere in risalto le capacità di tutte le persone, e l’obiettivo è di poter dare ad altri ragazzi l’opportunità che ha avuto Francesco di poter coltivare e inseguire la propria passione.