“Un giorno senza avvertire la direttrice andai a far visita a mio fratello – racconta Nunzia – lo trovai con un occhio nero, lui mi disse che l’avevano picchiato invece la direttrice sosteneva che si era fatto male da solo. Mi sono rivolta immediatamente al Giudice Tutelare di Tarcisio il quale incaricò l’Amministratore di sostegno di verificare l’accaduto, senza informare il pubblico ministero. A questo punto andai in questura e sporsi denuncia. Lì i poliziotti mi spiegarono che il tipo di contusione e il relativo ematoma erano così nitidi che secondo loro, poteva essere stato causato soltanto da un pugno. Nel periodo di ricovero coatto mio fratello perse 20 chili. Non solo lo lasciavano senza mangiare ma per non fargli sentire i morsi della fame lo riempivano di psicofarmaci. Non contenti gli avevano pure sospeso alcune terapie salvavita. Io e le mie sorelle non sapevamo più che fare, decidemmo di rivolgerci ad un bravo giornalista a cui raccontammo la storia. Lui contattò l’amministratore di sostegno e la direttrice per chiedere la loro versione sulla vicenda. L’intervista non fu mai pubblicata ma sortì ugualmente l’effetto sperato, dopo pochi giorni nostro fratello fu rispedito nuovamente in reparto a Fano. Dopo la minaccia dell’intervista per noi sorelle fu sempre più difficile riuscire a vedere Tarcisio. Le rare volte che ci autorizzavano la visita, all’ingresso gli infermieri ci perquisivano la borsa”.

A questo punto Tarcisio era diventato una specie di zombie. “Dal momento in cui mio fratello fu prelevato da casa di mia sorella era peggiorato tantissimo e stava malissimo”. Dopo questo secondo ricovero in psichiatria Tarcisio fu trasferito in una nuova casa di cura. “Per accogliere mio fratello chiesero al giudice due cose: divieto di visita dei familiari per almeno due mesi e la possibilità di tenerlo legato all’occorrenza. Fu allora che la trasmissione Chi l’Ha visto mandò in onda il servizio che riguardava l’odissea di mio fratello”. Dopo la emessa in onda di quella inchiesta Tarcisio fu mandato via anche da lì, rispedito nuovamente in psichiatria a Fano dove rimase per altri tre mesi, “come se fosse rinchiuso in un manicomio”, ha detto Nunzia. Le sorelle, per riavere il fratello, si rivolsero al Telefono Viola con loro organizzarono un sit-in davanti all’ospedale.

All’inizio dell’estate 2018 Tarcisio tornò a casa da Carmela. Un giorno decisero di andare al mare, Tarcisio iniziò a nuotare e dopo due bracciate fu colto da malore. “Una morte cardiaca improvvisa, che probabilmente ha a che fare con le quantità abnormi di farmaci neurolettici con cui lo avevano imbottito nei mesi precedenti”.

Poi il 13 dicembre 2018 scattò il blitz dei Nas di Bologna: all’alba di quel giovedì, una raffica di perquisizioni e arresti nei confronti del legale rappresentante e degli operatori della struttura, dove gli anziani venivano maltrattati. “Al momento del blitz i militari dell’Arma scoprirono 36 anziani in condizioni pietose e visibilmente denutriti tanto che, la prima cosa che chiesero fu quella di poter mangiare qualcosa. Allo stesso tempo, nei vari ambienti della casa di riposo fu trovata sporcizia e aleggiava un odore nauseabondo. La titolare, nel 2001, era già stata al centro di una vicenda analoga. In quella occasione era stata arrestata e condannata insieme al fratello sempre per maltrattamento di anziani.

“In questi due anni io e le mie sorelle abbiamo speso un mare di soldi in avvocati per denunciare tutte queste schifezze. Noi denunciavamo il comportamento inadeguato dell’amministratrice e dei medici, denunciavamo i pestaggi, le condizioni di vita indecenti della casa di riposo ma nessuno ci ha ascoltato preoccupati com’erano a coprirsi tra loro in una sorta di connivenza para mafiosa. Solo oggi il giudice responsabile del blitz ci ha sentito parecchie volte, purtroppo per Tarcisio fu troppo tardi ma è nostra intenzione al processo, costituirci come parte offesa, perché furono tanti gli attori entrati in scena soltanto per levarsi dai piedi Tarcisio e le sue sorelle e nessuno mi toglie dalla testa che gli psicofarmaci e le violenze subite causarono la sua morte”.

Sono stati in tanti ad aiutarlo a morire – ha concluso Nunzia – C’è stato chi lo ha prelevato da casa con la forza, chi lo ha spedito in giro per strutture mangia soldi come fosse un pacco, chi lo ha legato al letto, chi lo ha picchiato, chi lo ha rimbambito di farmaci, chi mirava ai suoi soldi e soprattutto, una pletora di sciacalli sociali composta da giudici, avvocaticchi, medici , amministratori, case, casette, cooperative, che approfittando della malattia mentale ne traggono profitto tirando a campare sulla pelle dei malati. Questi sono, io credo, i responsabili della morte di mio fratello”. Quella di Tarcisio è una storia purtroppo simile a molte altre. Drammi che si consumano nel dolore delle famiglie e nel silenzio di chi sta intorno perché purtroppo la malattia mentale interessa a pochi.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.