Forse ciò che i surrealisti definivano “caso oggettivo”, riferendosi ai fatti fortuiti che sembrano dettati dal destino, ha più rilievo della forza con cui lottiamo per le nostre cause. Forse tutta l’indeterminatezza che ci viene consegnata in sorte fin dalla nascita ha il suo contrappeso nell’immaginazione, e nella magia. Con La vita altrove (La nuova frontiera), Guadalupe Nettel torna sulla scena letteraria componendo otto racconti in cui ogni protagonista è posto di fronte a un lieve e abissale intoppo, a una sorpresa, a segreti disvelati, piccoli e grandi tradimenti che portano, prima, allo stupore del rovescio, e poi, all’umana antichissima arte di adattarsi: attraverso una resa, oppure affidandosi alla fantasia.

E così, una studentessa universitaria s’imbatte per caso nello zio bandito molti anni prima dalla sua famiglia. L’uomo, Frank, è ricoverato in ospedale, è solo, e prossimo alla morte. Cercare una risposta a quanto accaduto in precedenza, ricostruire i frammenti di una storia di liti e d’improvvisi distacchi è un’opzione che porta a poco. Arrendersi piuttosto all’incapacità di trovare un senso, o una risposta di qualsiasi genere. Stringere la mano inerte e fredda di quello sconosciuto che in un breve lasso di tempo è tornato a essere “Frank”, rinunciando per sempre a chiudere il cerchio. Oppure, in un’altra delle sue storie, essere fasciati dall’idea di aver sbagliato tutto, e così, mentre ci si lava, covare il dubbio che uno sconosciuto si sia impossessato del proprio corpo; lasciarsi trasportare verso un altrove impossibile che scorre in parallelo alla nostra vita, in cui di tanto in tanto rifugiarsi per permettersi di fuggire via. Il contesto di Nettel è minimo: vite ordinarie nella loro quotidianità, vite di coppia, il lavoro o la famiglia. Ma il futuro che scaturisce, in quest’intercapedine fra il reale e il fantastico, è invece immenso come il sogno che viene prodotto di volta in volta dal fallimento, dalla solitudine, la malattia o il lutto, l’enigma dei rapporti che ogni relazione, perfino la più intima, non svela mai fino in fondo.

Il destino che Nettel consegna ai suoi personaggi assume spesso il ghigno di una beffa. In La figlia unica, Alina e Laura si scoprono distanti sul terreno della maternità: l’una desidera un figlio e l’altra no. Dopo la nascita di Inés, a cui viene diagnosticata una sindrome grave e un’aspettativa di vita molto fragile, Alina impara a vivere la maternità sospesa nel bilico fra la vita e la morte; mentre chi madre non avrebbe voluto essere, ha in sorte l’onere di una premura. Laura incontra Doris e suo figlio, che le abitano accanto, e finisce per occuparsi di questo piccolo orfano di un padre violento. È lo stesso ribaltamento di senso che vibra nei racconti di Bestiario sentimentale, lo zoo sotto al vetrino di uno sguardo affilato, quello di Nettel, messo in forma con il solito stile in apparenza lineare, che l’autrice costruisce per indagare degli esseri viventi governati dall’istinto: gli animali. Fino però a far emergere lo specchio dentro cui i loro proprietari si osservano e si riconoscono. E dunque, una donna infelice fissa l’acquario sulla sua mensola, la misteriosa vita dei pesci combattenti, e trova una chiave di lettura alla propria esistenza e al feroce rapporto di coppia che ha costruito. In Il corpo in cui sono nata, dove l’autrice si confronta con la sua infanzia e con quel neo sulla cornea che l’ha obbligata negli anni a un cerotto sull’occhio, dandole l’aspetto di un pirata, Nettel scrive: “Anche se i misteri da capire erano ancora molti, la verità stava entrando finalmente dalle finestre di casa nostra, come una luce calda e benefica che, con il suo timido riflesso, dissolveva l’umidità e l’ombra del dubbio.”

Il problema, o meglio la soluzione, nella poetica di Guadalupe Nettel si situa qui: non esiste una verità capace di durare nel tempo, perché tutto è pronto a stravolgersi e, nel cambiare, a far deragliare la ressa di scelte e di desideri coltivati sino a lì. Dissipare l’incertezza non è sempre sinonimo di felicità. Concedersi un altrove, invece, questo sì.