Morto a 83 anni
La vita misteriosa di ‘frate Mitra’: dalle rapine ad infiltrato nelle BR per far catturare Curcio

Silvano Girotto, già padre Leone, per la stampa “frate Mitra”, se ne è andato a 83 anni portandosi nella tomba il segreto dell’operazione che l’8 settembre 1974 avrebbe dovuto decapitare le Brigate Rosse, con l’arresto dei due principali leader Renato Curcio e Alberto Franceschini, e che ruotava tutta intorno al misterioso “frate guerrigliero”. Compiacenti oggi come allora i media non si pongono domande. Accreditano una biografia dell’ex francescano nella quale si fondono evidentemente elementi reali e il lavoro di fantasia che portò i capi delle Br, in contrasto netto con tutte le loro regole, a fidarsi dello sconosciuto che li consegnò al generale Dalla Chiesa.
Figlio di un maresciallo dei carabinieri, nato nell’aprile 1939 a Caselle Torinese, Girotto si mette nei guai con la giustizia ancora minorenne, lo prendono mentre passa illegalmente il confine con la Francia, si arruola nella Legione Straniera dalla quale diserta dopo appena tre mesi, a suo dire perché inorridito dalla repressione feroce contro i militanti dell’Fnl algerino. Torna in patria e finisce in galera dopo la rapina in una tabaccheria finita male. In carcere scopre la religione, indossa il saio, diventa francescano. Nel 1969 è ordinato sacerdote: padre Leone fa un po’ il prete operaio, il vescovo di Novara gli proibisce di predicare, lui chiede di essere spedito in America latina.
Questo, almeno, è il racconto di Girotto. Il problema nella sua avventurosa biografia è che ad accreditarla c’è sempre e solo la sua parola. La presenza in Bolivia nel 1971 è certa. Più discutibile la versione in stile “Rambo col saio” delle sue imprese durante il golpe del 21 agosto del colonnello Banzer: “Mi trovai nel pieno di un massacro, quando da un nido di mitragliatrici cominciarono a sparare sopra una folla di bambini e mamme. Imbracciai le armi. Lanciai una granata e feci saltare il nido di mitragliatrici”. Pochi giorni dopo Girotto esce da una casa nella quale si nasconde un militante ricercato dal nuovo regime. Giusto un attimo dopo la polizia irrompe e lo arresta. È sempre la parola del frate, che a quel punto aveva smesso il saio e si era anche sposato con una boliviana, a garantire la militanza in Cile contro il regime di Pinochet. Qualcuno ancora oggi lo mette addirittura tra il fondatori del Mir, il gruppo armato della sinistra cilena. Più sobrio e serio, nella sua inchiesta televisiva sul terrorismo italiano La notte della Repubblica, Sergio Zavoli lo liquidò in pochissime parole: “Dall’America Latina ritornò con la fama, in gran parte millantata, di frate guerrigliero”.
In realtà c’è probabilmente qualcosa in più delle vuote vanterie di un miles gloriosus con la bandiera rossa. La biografia eroica di Girotto sembra studiata sin nei particolari per spingere le Br ad accettare le sua proposta di collaborazione senza andare per il sottile. A rendere noto quella storia rivoluzionaria che riassumeva tutta la mitologia dell’epoca fu del resto un periodico di estrema destra, Il Borghese. Forte dell’articolo che lo descriveva come una specie di pericolo pubblico, l’ex frate si presentò a un comandante partigiano, Giovan Battista Lazagna, chiedendo di metterlo in contatto con le Br. Nella memorialistica dei decenni successivi i leader delle Br hanno giurato tutti di non essersi mai fidati del rodomonte, di aver fiutato subito la trappola e di aver pertanto deciso di accoglierlo sì, ma con rigida compartimentazione, senza metterlo al corrente di nessun dato sensibile. Di fatto però, pur non sapendone niente, Curcio e Moretti lo incontrarono e fu poi preso un nuovo appuntamento a Pinerolo, l’8 settembre, con il solo Curcio.
C’è qui un secondo mistero: perché Dalla Chiesa decise di far scattare la trappola proprio quel giorno, prendendo nella rete il solo Curcio, invece di infiltrare il frate e di aspettare fino a poter catturare l’intero vertice brigatista? Probabilmente il generale sapeva che la copertura del suo uomo stava per franare. Due giorni prima dell’appuntamento una telefonata anonima avvertì Enrico Levati, medico vicino alle Br, che a Pinerolo Curcio sarebbe stato arrestato. Le Br pensarono che l’avvertimento partisse da Israele, che già aveva offerto loro aiuto perché la destabilizzazione in Italia avrebbe aumentato il loro peso contrattuale con gli Usa come punto di riferimento nel Mediterraneo. Di fatto, chi abbia fatto quella telefonata è a tutt’oggi ignoto ma Dalla Chiesa deve aver subodorato che la storiella del frate rivoluzionario era arrivata agli sgoccioli.
La telefonata andò comunque a vuoto. Il medico era fuori città, il messaggio fu lasciato alla moglie che lo avvertì solo il giorno dopo. Le Br, a quel punto, disponevano di forze troppo esigue per rintracciare in tempo Curcio e rifiutarono l’aiuto di Autonomia, che avrebbe potuto sguinzagliare un numero ben superiore di macchine. Dalla Chiesa godette poi di un vero colpo di fortuna: Curcio avrebbe dovuto presentarsi da solo all’incontro, mentre Franceschini avrebbe dovuto viaggiare verso Roma. Decise invece, violando le regole dell’organizzazione, di andare verso Torino con Curcio e finì nella rete anche lui. Dopo il colpaccio, Girotto se ne uscì con una sgangherata lettera alle Br, sul modello di quelle usate dall’Fbi nell’operazione Cointelpro con la quale avevano sgominato le Black Panthers.
Li accusava di essere “piccoli borghesi frustrati e megalomani” che spalancavano le porte a una sanguinosa repressione contro “le vere Avanguardie dei lavoratori”. La passione militante lo abbandonò però subito dopo quel proclama. Scomparve dalla scena, salvo raccontare di nuovo la storia della sua vita, vera o falsa che fosse, in un paio di libri, ripeterla nel 2000 di fronte a una delle tante inutili commissioni parlamentari d’inchiesta sul terrorismo e incontrare infine nel 2002, tramite i buoni uffici di suor Teresilla Barillà, i due uomini che aveva fatto arrestare 28 anni prima. Curcio fu gelido. Franceschini cordiale, quasi amichevole. Della storia italiana degli anni ‘70 Girotto non è stato un protagonista e neppure un comprimario: piuttosto un’anonima pedina.
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