La partita in gioco alla Corte Costituzionale
L’abuso di ufficio alla Consulta: i pro, i contro e i perché della risposta giudiziaria all’abrogazione
All’indomani dell’abrogazione del reato di abuso in atti di ufficio, ben sette ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale (cfr. lo schema riassuntivo in Quarta Pagina) hanno scandito la dura risposta della giurisdizione ad una volontà del legislatore sin dal primo giorno fortemente avversata dalla magistratura italiana. Non unanime, però, vista la articolata ordinanza con la quale il Tribunale di Reggio Emilia ha ritenuto invece la questione, sollevata dalla locale Procura della Repubblica, manifestamente infondata.
Noi di PQM non abbiamo mancato di approfondire luci ed ombre di quella iniziativa abrogativa, dedicando ad essa un intero numero all’indomani della decisione parlamentare. Che quel reato sia divenuto in tutti questi anni lo strumento privilegiato per esercitare, da parte del potere giudiziario, una sorta di controllo penale troppo spesso indiscriminato e pretestuoso dell’agire della politica nella amministrazione della cosa pubblica, è un dato di fatto inconfutabile. E questo è accaduto nonostante le ripetute modifiche della norma, volte a circoscrivere l’ambito di quel controllo asfissiante e troppo spesso poi dimostratosi infondato, per restituirlo al suo naturale giudice amministrativo.
L’interpretazione in concreto della norma ha sempre vanificato quella pur esplicita (e legittima) volontà limitatrice del legislatore, finendo per disvelare perciò la ferma volontà delle Procure italiane di non vedere depotenziato un formidabile strumento di condizionamento della vita politica italiana. Che l’abrogazione secca del reato possa essere stata la risposta giusta, è tutt’altro paio di maniche, ed è diffusa nella stessa accademia, anche la più legata ai princìpi del diritto penale liberale, l’idea che essa abbia fortemente affievolito la tutela dei diritti dei cittadini dagli abusi di potere del pubblico ufficiale. La eccezione di incostituzionalità del quadro normativo risultante dalla abrogazione pare tuttavia una risposta non priva di forzature argomentative, disvelando in realtà la natura anche fortemente politica di quelle iniziative giudiziarie.
La decisione della Corte fornirà la più autorevole risposta a questi dubbi, chiarendoci innanzitutto – perché è questo il tema centrale – se a quell’accordo pattizio sovranazionale sottoscritto a Merida, con il quale si sollecitavano i Paesi aderenti a dare copertura penale a condotte chiaramente riconducibili allo schema dell’abuso, debba riconoscersi la forza di un vincolo al quale la nostra stessa Costituzione non consente di sottrarsi, ovvero solo la forza di un indirizzo, al quale ogni Stato è tenuto sì a conformarsi, ma con ampia autonomia decisionale.
Noi di PQM, more solito, ci siamo impegnati a fornire elementi di riflessione e di giudizio spero utili, in modo che chi è interessato possa formarsi una opinione seria ed argomentata. Ma abbiamo voluto anche raccontarvi una singolarità, che ha caratterizzato il comportamento del CSM in ordine a questo tema: severissimo nel formulare il proprio parere drasticamente dissenziente dalla abrogazione del reato, ma addirittura precipitoso, all’indomani, nell’archiviare tutti i procedimenti disciplinari relativi a magistrati accusati, appunto, di aver abusato delle proprie funzioni.
Insomma, quella accigliata intransigenza del CSM nel denunziare la gravità delle conseguenze, in danno dei diritti dei cittadini, di un simile abbassamento della guardia verso gli abusi di potere dei pubblici ufficiali, magistrati compresi, ci avrebbe fatto pensare ad una cauta sospensione di ogni decisione in punto di procedimenti disciplinari connessi a quella ipotesi di reato, in attesa delle determinazioni della Corte Costituzionale; e invece, archiviazioni a raffica. Ci è parsa una singolarità gravida di implicazioni interessanti, e che perciò non abbiamo voluto mancare di raccontarvi. Buona lettura!
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