Mantenere l’abuso d’ufficio sarebbe giusto. Se fossimo nel mondo ideale, dove la magistratura applica la legge in modo fedele e l’archiviazione di denunce infondate è immediata. Purtroppo, però, la nostra Giustizia non abita questo mondo ideale, e il sistema paese non può permettersi un reato simile.

Anche dopo le recenti riforme per precisarne l’ambito applicativo, sue letture forzate hanno neutralizzato l’indirizzo del legislatore. Si dovevano sottrarre al sindacato dei magistrati atti a contenuto discrezionale e, invece, tramite abili costruzioni dialettiche, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile il reato in fattispecie dove non era riscontrabile l’esercizio di poteri vincolati. Si dovevano escludere violazioni di norme generiche e di principio e, invece, si conferma la sussistenza dell’abuso per violazione di un astratto canone d’imparzialità dell’azione amministrativa. Il legislatore esclude la rilevanza di violazioni di disposizioni regolamentari ma, contro questa direttiva di politica criminale, si reintroduce tutte le volte in cui le fonti subprimarie siano attuative di previsioni di legge. Cioè sempre.

Insomma, il legislatore fa uscire una cosa dalla porta, la giurisprudenza la fa rientrare dalla finestra. Attraverso, poi, la contestazione di fantasiosi e impalpabili conflitti d’interesse, si è individuato, nella prassi, un altro grimaldello per eludere le indicazioni del legislatore e continuare a procedere per abuso d’ufficio a buon ritmo (nel 2016 circa 8000 iscrizioni, nel 2021 oltre 4800).

I sostenitori del reato dicono: le condanne sono pochissime, quindi nessuno “spauracchio” per il pubblico funzionario. Inutile abrogarlo. Falso. In un paese come il nostro, contaminato dal germe patogeno del populismo giudiziario e refrattario al principio della presunzione d’innocenza, ciò che costituisce maggior danno, e autentica pena, è l’avvio stesso del procedimento penale: l’iscrizione sul registro degli indagati, con relative campagne mediatiche. Se la macchina giudiziaria funzionasse e i fascicoli venissero aperti e archiviati nel giro di pochissimi giorni (la maggior parte non necessita di alcun atto d’indagine, e l’infondatezza della denuncia appare ictu oculi), il problema sarebbe inesistente.

Ma invece giacciono negli armadi delle Procure per anni e – incuranti di destini e sofferenze delle persone coinvolte – c’è molta calma nell’avanzare le richieste d’archiviazione prima, e i decreti d’archiviazione poi. Un collega mi raccontava come una volta un Pm, pur concordando sull’archiviazione del cliente, lo avesse invitato a “tornare dopo l’estate”; come se la vita di un uomo potesse attendere i comodi del magistrato. Inutile prendersi in giro. Questo mal funzionamento è deterrente per l’agire amministrativo: scoraggia il pubblico agente sotto procedimento ma anche tutti i colleghi terrorizzati dall’idea di fare la stessa fine. Risultato: interi uffici paralizzati e mancata erogazione dei servizi all’utenza.

A fronte di pochi casi l’anno meritevoli di tutela (la montagna del 323 c.p. ha partorito il topolino di 18 condanne nel 2021), lo squilibrio complessivo che l’abuso determina nel quadro di un sistema giudiziario inefficiente, dove la magistratura non si adegua alle indicazioni di politica criminale del potere legislativo, ne rende preferibile l’eliminazione. Il diritto penale è risorsa limitata, dagli enormi costi sociali e umani; in un mondo ideale, dove la magistratura è fedele ai testi di legge e gli addetti ai lavori svolgono la loro funzione in modo davvero produttivo, l’abrogazione sarebbe irrazionale; alle nostre latitudini invece, il lusso di un reato di questo genere non possiamo concedercelo.

Finché mondo ideale e reale non si sovrappongano o almeno avvicinino, ci dovremo rassegnare a interventi radicali, magari poco logici su un piano strettamente giuridico, ma ragionevoli per il complessivo riequilibrio del sistema.

Basterebbe aumentare la produttività della macchina giudiziaria: per questo confidiamo che i decreti attuativi sulla valutazione dei magistrati ai fini delle loro progressioni di carriera, di cui si è persa notizia, escano quanto prima dalle stanze del Ministero.