Ogni guerra ha un inizio preciso, mai una fine certa. Quella riesplosa in Medio Oriente il 7 ottobre di circa 2 anni fa – con il brutale attacco di Hamas a Israele e oltre mille civili trucidati o presi in ostaggio – ha segnato per sempre il destino di quella terra già ferita. Un assalto feroce e calcolato, punto di non ritorno di un conflitto a lungo preparato, dietro cui agiva una regia lucida e spietata.

Hamas, Hezbollah e Houthi sono stati ridimensionati

L’obiettivo? Scatenare la reazione di Israele, incendiare l’intera regione e trascinarci dentro Hezbollah, gli Houthi e l’Iran, con la benedizione occulta di Teheran. Una trappola perfetta anche per sviare l’attenzione dal fronte ucraino, dove Putin, indebolito da una guerra tanto sanguinosa quanto disastrosa, cercava disperatamente una distrazione per le opinioni pubbliche occidentali. Non a caso l’Iran, suo partner d’armi e di droni, ha soffiato sul fuoco del caos, stringendo un’alleanza ostile con altri regimi – dalla Corea del Nord ad alcune satrapie in Africa e Sudamerica – pronta a minare le democrazie. Ma quel piano cinico, alla prova dei fatti, si è schiantato. Hamas, Hezbollah e Houthi sono stati ridimensionati. L’Iran ha incassato colpi durissimi, tra i raid israeliani e il colpo di maglio americano che ha devastato i suoi siti nucleari. La Siria sfugge al controllo di Mosca e Teheran, il Libano segue la stessa parabola e persino le monarchie del Golfo, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, sperano di veder crollare il regime iraniano.

La scommessa di Putin è costata cara

Quanto a Putin, la sua scommessa di spaccare l’Occidente gli è costata cara: ha bruciato risorse militari e finanziarie, ha perso forniture preziose e ha visto sgretolarsi la sua influenza in questo scacchiere cruciale. Ora si ritrova di fronte a un Trump che, abbandonata la veste da paciere, ha ripreso il ruolo di guida. E se non dovesse tradire Teheran in cambio di favori sull’Ucraina, Putin dovrà comunque pagare il prezzo di una leadership logorata tra i Paesi-canaglia. E in questo scenario drammatico, come rispondono i nostri “pacifisti” e i loro omologhi europei? Scendono in piazza tra slogan e bandiere, fingendo indignazione e seminando solo caos.

Ogni sforzo sabotato

Una galassia rossobruna, abile a cavalcare il malcontento, che dietro la retorica della giustizia occulta interessi altrui e agisce da cassa di risonanza di chi vuol destabilizzarci. Gridano “no alla guerra”, ma si guardano bene dallo smascherare le vere responsabilità, sabotando ogni sforzo per costruire sicurezza europea e minando la nostra coesione. Il loro pacifismo di facciata è solo un’arma contro l’Occidente. Ignorano la repressione del popolo iraniano e restano indifferenti proprio quando quella libertà potrebbe finalmente germogliare. Ma è da queste verità scomode che passa la nostra prova di maturità. Quando vedremo nascere anche da noi una classe dirigente all’altezza della sfida? Una leadership capace di contrastare disinformazione e infiltrazioni, di spezzare le catene di chi trama nell’ombra contro l’Italia e l’Europa? È una battaglia da combattere adesso, prima che le ambiguità diventino la nostra rovina.

Raffaele Bonanni

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