Woke Corner
Lavoro e disuguaglianze: quando l’ingiustizia la fa ancora da padrona la meritocrazia mostra i suoi limiti
Non parlo di eleganza. In politica, manca a entrambi gli schieramenti. Sto parlando della classe sociale. Se un gruppo di persone, a parità di lavoro, guadagnasse il 12% in meno, se fossero donne o una minoranza, assisteremmo a una levata di scudi con post indignati e forse, addirittura una giornata mondiale dedicata. Rapidamente, diventerebbe una battaglia per le grandi aziende. La priorità sarebbe colmare quel “pay gap”!
La classe sociale
Invece, sappiamo che dipende dalla classe di origine e non facciamo nulla. Qualunque cosa diventi una persona, se proviene da una classe sociale bassa, pagherà il prezzo di questa provenienza. Uno studio inglese, dice che la classe di origine arriva a determinare un pay gap del 40 per cento nella libera professione.
In Italia non stiamo meglio. Per predire il futuro di una persona basta conoscere la sua classe sociale di origine. Centinaia di studi hanno evidenziato questo fenomeno, alla faccia della tanto agognata meritocrazia.
E qui viene il bello. Meritocrazia è una parola nata negli anni ’60 in Uk. Michael Young la rese popolare con il libro “The Rise of the Meritocracy”. Che non era un manuale su come rendere più meritevole il contesto britannico, ma un racconto distopico di una società che, basandosi sulla precoce ed esatta identificazione del talento di un individuo, lo assegnava a priori a una delle due classi sociali. Un’élite meritoria detentrice di potere e benessere e una sottoclasse priva dei diritti civili.
La polvere dell’ingiustizia
Meritocrazia, per Young, significava (in negativo) il potere di chi presumiamo meriti. Young era laburista, prima di morire tirò le orecchie a Blair sul Guardian rimproverandolo di aver scelto il merito come pilastro del programma elettorale, la “Terza Via”, tradendo la tradizione laburista. Oggi, in tanti hanno identificato i limiti della “meritocrazia”: Carlo Barone (Le trappole della meritocrazia), Mauro Boarelli (Contro l’ideologia del merito), Chiara Volpato (Le radici delle disuguaglianze) e soprattutto Michael Sandel. Se non li avete letti, faccio il riassunto: la meritocrazia è il tappetto sotto il quale le élite nascondono la polvere dell’ingiustizia. Intere generazioni sono cresciute con l’illusione che il successo sia talento e impegno. Ma è vero solo per le élite, perché il successo è un combinato anche di relazioni, contesto e casualità e questi fattori giocano sempre a vantaggio delle élite. E le eccezioni? Sono solo eccezioni, che usiamo per confermare la regola.
La famiglia è la culla delle disuguaglianze. Chi proviene da una famiglia agiata ha sempre più possibilità.
Cosa fare? Mettere la classe sociale in cima all’agenda. Togliere il tetto che impedisce di fare gli stessi sogni degli altri e dare strumenti per poterli raggiungere.
Sognavamo un mondo più giusto, ci siamo svegliati in un mondo dove l’ingiustizia la fa ancora da padrona. La cosa più brutta è che in tanti dormono ancora.
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